Tappa numero 1, Dal 25 al 28 ottobre 2007
Giovedì 25 ottobre – Arrivo a l’Avana
Cominciano ad apparire i primi sintomi di risveglio. Nella quotidiana vita italiana mi abituo così bene ad essere sotto tensione, ad avere i nervi a fior di pelle, ad essere privo di vitalità, sordo alla sensazione del corpo e della mente. Per molto tempo permango distante dalle persone e dal mondo che mi circonda, chiuso in me stesso per dare importanza solo a mille pensieri incostanti che mi tappezzano la vita, rendendola simile ad una stanza-cella da manicomio. Poi mi ritrovo in viaggio e risento scorrere la vita in un corpo fin qui anestetizzato… e sto bene.
Viaggiare di giorno è sempre estenuante. Si dormicchia, al più, senza realmente mai riposare. Così arriviamo all’Avana stanchi morti. Per raggiungere il centro dall’aeroporto optiamo per un taxi, a quello che ci hanno detto la soluzione migliore. Il primo tassista ci offre un passaggio per 25 CUC (peso convertibile, la moneta dello straniero, dal valore simile al dollaro americano), il secondo per 20 CUC ed accettiamo. In realtà il prezzo è ancora piuttosto alto, ma abbiamo bisogno di rodare l’arma della contrattazione. Il tassista è un tipo ciarliero dal volto fine e dalla pelle solo lievemente imbrunita. Ci dimostra subito l’attitudine dei cubani di cercare di sfruttare tutte le situazioni possibili. Ad un’innocua domanda di Giovanni su quanto tempo s’impiega per arrivare a Cienfuegos, riesce a portare il discorso sul fatto che se partiamo sabato ci porta lui in macchina. Senza rendercene conto ci strappa l’accordo di sentirci la mattina successiva per comunicargli se deve preparare la macchina per il lungo viaggio. Mentre chiacchiera, passiamo in rassegna la periferia di l’Avana, povera di edifici e ricca di alberi di banano, di palme e di grandi insegne propagandistiche. Su una campeggia il volto di Bush associato a quello di Hitler. Pur essendo sufficientemente antiamericano, l’accostamento mi pare un po’ eccessivo. Per il resto è tutto un devoto ricordo del Che e della Rivoluzione.
La presenza dei tanti alberi floridi e dell’elevata umidità che ha già iniziato ad appiccicare la maglietta, ci rende evidente che siamo giunti ai tropici, lasciando ormai lontano il freddo padano. C’è gioia nel farsi rinfrescare dalla tiepida brezza che entra dal finestrino aperto.
Gli edifici, via via più numerosi con il prosieguo della corsa, sono invece caratterizzati da un evidente stato d’abbandono, praticamente generalizzato. La sensazione non è delle più piacevoli, ma non noto differenza con i sobborghi di tante altre grandi città tropicali che ho visitato. Forse la differenza sta nel fatto che qui esistono tanti begli edifici ed è un peccato concederli così inermi alle ingiurie del tempo. I suoi segni non si notano solo sugli edifici. Le strade sono piene di buche colme d’acqua (è piovuto tutto il giorno) e le macchine sono perlopiù veri cimeli preistorici.
Il modo di guidare del nostro tassista è simpatico. Per risparmiare benzina spegne la macchina appena possibile, anche un centinaio di metri prima dello stop per poi sfruttare l’inerzia per giungervi. Ci dirigiamo verso la casa particular (case private dotate di un permesso per ospitare delle persone; ci sono quelle per stranieri e quelle per soli cubani) suggerita da un’amica di Giovanni, che dovrebbe trovarsi nel Nuevo Vedado. Il quartiere mi appare abbastanza squallido, con una scarsa illuminazione e le case perlopiù sporche e diroccate. Non so se per fortuna o per sfortuna, giriamo avanti e indietro senza riuscire a trovare la casa. Il tassista si ferma sovente a chiedere informazioni (e tutti si prodigano con solerzia a dargliele), ma sembra che l’indirizzo sia sbagliato. Invito così il tassista a portarci in una nuova casa particular nelle vicinanze del Malecon. Il tassista ci prende in parola e ci porta in una bella casa barocca ad un isolato dal mare. La casa odora d’antico e si conforma perfettamente alla mia idea di Cuba. Lo stesso si può dire dei proprietari, una signora di mezza età rapita da una telenovela alla televisione e un signore con la camicia aperta sul petto villoso intento a fumare un sigaro. Purtroppo non hanno posto, ma con una telefonata riescono a trovarci due stanze in una via vicina. Approdiamo in un appartamento posto su un alto condominio proprio di fronte al Malecon, al decimo piano. L’edificio è tenebroso e i due ascensori sono brutti, sporchi e all’apparenza anche insicuri, ma la casa è bella e pulita, con stanze ampie e confortevoli (Calle G n° 102, piso 10A). Inizialmente la ragazza che ci accoglie spara 35 CUC a stanza (purtroppo le stanze sono sempre e solo da due), noi chiediamo un piccolo sconto, proponendo 66 CUC per le due stanze. La ragazza non comprende e ci propone 30 CUC per stanza, sottolineando che è il massimo che può fare. Increduli per l’incomprensione a nostro vantaggio, accettiamo e capiamo subito che a Cuba bisogna sempre contrattare.
Siamo tutti stanchi, soprattutto Joe, ma sono appena le otto di sera, quindi optiamo per una camminata tra le vie che si approssimano al Malecon, dove le onde sbattono contro la riva ed inondano il marciapiede. A piedi l’impressione di generale abbandono permane. Quello che stride è il confronto tra gli edifici diroccati e le persone che incrociamo, che sembrano aver molta cura di sé, o degli interni delle case che appaiono puliti e belli.
Camminando per le strade del Vedado ci rendiamo immediatamente conto che il nostro stato di stranieri è fin troppo evidente. Sarà la camminata stanca, o la presenza dei borselli, o quant’altro, ma molti ci identificano subito come europei. Nelle poche ore di passeggio veniamo avvicinati da cinque jineteros. Ci offrono di tutto, dall’accompagnarci in un locale per un mojito all’offrirci i servizi di qualche bella ragazza cubana. Sul primo approccio siamo un po’ presi alla sprovvista, ma rintuzziamo all’ultimo l’attacco. Poi, imparata la lezione (confidenza solo lo stretto necessario), ce li scrolliamo di dosso in breve tempo con sorrisi e strette di mano. Il loro modo di fare, anche se insistente, è sempre educato ed affabile, quindi non puoi mandarli volgarmente a quel paese. Tra i tre quello che pare gradire meno questi attacchi è Seba, che vedo parecchio infastidito. Da parte mia credo che il confronto con gli jineteros sia un aspetto di Cuba da vivere con serenità, anche se con una certa fermezza.
Alla fine ci sediamo sotto un capannone nei pressi del monumento in onore dei caduti del Maine, proprio sotto l’Hotel Nacional, per bere un mojito. È un luogo tutt’altro che turistico ed è quello che cerchiamo. Purtroppo il mojito è pessimo, ma la tiepida aria serale è un vero toccasana. Da lì riportiamo a casa Giovanni prima che si metta a dormire sul tavolo.
P.S. Le persone sembrano rilassate, con stampato in volto un bel sorriso. Un gruppo di ragazze è passato vicino a noi cantando ad alta voce alcune strofe di una canzone. La musica tappezza il quotidiano svolgersi della giornata, provenendo da più parti. C’è una vitalità nascosta dietro questi muri diroccati e sporchi.
Venerdì 26 ottobre – Cienfuegos
Alle cinque apro gli occhi, un effetto del jet-lag inconsueto per me. Poco dopo mi siedo su una delle poltroncine a lato del letto ed inizio a scrivere, aspettando lo scorrere del tempo. Alle sette il cielo inizia a schiarirsi, mostrandosi in parte coperto da nuvole. Dalla nostra stanza si ammira una bella veduta sul Malecon e sul Vedado. Il sorgere del sole svela una città coperta da una lieve foschia, un etereo velo che aleggia tra i pochi grandi condomini che sovrastano un vasto agglomerato di case più basse. Alle otto si sveglia anche Giovanni e ordiniamo la colazione alla padrona di casa. Aspettando di mangiare ci godiamo la piccola terrazza panoramica della casa in compagnia della sua piccola figlia. Daniela ha una lunga chioma bionda ed un sorriso che scioglie il cuore. Inizialmente si avvicina a noi titubante, ma poi, presa confidenza, ci circonda d’attenzioni e non smette di ridere con noi neanche quando iniziamo mangiare.
Il terminale delle corriere per Cienfuegos (compagnia Viazul o Astro) è a oltre dieci isolati verso sud est (circa due chilometri e mezzo). Il sole ha dissolto la fine nebbiolina e ci concede un caloroso bacio mentre camminiamo, ma l’umidità dell’aria ci pesa sulle spalle più dello zaino. Dicono che Cuba è il paese ecologicamente più sostenibile del mondo, ma i rottami che percorrono le strade di l’Avana inquinano che un piacere. L’aria sulle vie trafficate è irrespirabile. Un jinetero è già al nostro fianco non appena siamo sulla strada e ci accompagna nel cammino proponendoci varie cose, ma anche solo parlando con noi del più e del meno (vorrebbe convincerci ad andare in banca a cambiare i soldi). Ovviamente noi tiriamo dritti ignorando i suoi consigli. Ci abbandona solo quando incrociamo un poliziotto. Poco dopo si para di fronte a noi un nuovo ragazzo che, sfruttando le informazioni sfuggite con il primo, vuole farsi passare per il fratello dell’amica in Italia di Giovanni. Noi neghiamo da subito di chiamarci Carlo, Sebastiano e Giovanni ed il tipo rimane fermo sulla strada con uno sguardo più sorpreso che dispiaciuto.
Al terminale aspettiamo che ci diano indicazioni per una corriera della Astro in partenza per Cienfuegos. Purtroppo i pochissimi posti disponibili per i turisti non sono sufficienti ad accoglierci (per ogni corriera della Astro sono resi disponibili agli stranieri due-tre posti, ma uno di questi era già occupato), così veniamo dirottati senza nessuna spiegazione aggiuntiva su una corriera della Viazul in partenza un’ora dopo (20 CUC). La corriera è affollata perlopiù di stranieri e sembriamo un carro del circo, vista l’attenzione che suscitiamo nelle persone che camminano per strada. Lo chiamano “l’aparthaid del turista”, una situazione che fatico a digerire. È come essere racchiuso in una campana di vetro che mi isola dalla vera Cuba. Purtroppo è uno dei problemi che Cuba propone al puro viaggiatore, a quelli che cercano di conoscere i cubani e che vogliono trasformare questi pochi giorni di fuga dalla quotidianità occidentale in un viaggio d’esplorazione di un mondo sconosciuto. Le tante persone che ci hanno avvicinato sono solo procacciatori d’affari in cerca di un po’ di soldi, persone che contribuiscono con la loro presenza ad isolarmi ancora di più dalla genuina umanità cubana. Sapevo che non sarebbe stato facile perforare questa barriera superficiale per andar a conoscere cosa c’è di più profondo in questa isola. Già al secondo giorno di viaggio ne ho l’immancabile riprova.
Non ci mettiamo molto ad uscire da l’Avana per imboccare l’autopista, una strada ampia a due carreggiate divise da una larga fascia d’erba verde, senza nessuna barriera. A lato delle due lunghe lingue d’asfalto, percorse da qualsiasi mezzo, compreso i carretti trainati dai cavalli, si estendono piane verdi invase dalle palme reali cubane, colonne vegetali che sembrano piloni di cemento puntati verso il centro.
Fino a che non lasciamo l’autopista, ben oltre la provincia di l’Avana, tra quelle di Matanzas e Cienfuegos, il paesaggio rimane pressoché inalterato, variando dal completamente piano al lievemente ondulato, dalle palme ai banani passando per un frutteto esteso di agrumi. È il verde a perdita d’occhio a farla da padrone, con solo qualche casa sparsa ad interromperne la continuità. Quando abbandoniamo l’autopista per imboccare una più stretta strada provinciale, cominciano ad apparire i primi estesi campi di canne da zucchero, un intricatissimo svolgersi di culmi zuccherini che si estendono fino ad oltre l’orizzonte. I giorni scorsi deve essere piovuto parecchio, perché sono molte le aree coltivabili inondate dall’acqua. Cominciamo anche ad attraversare piccoli paesini di case basse immerse nel fango e nel verde, un’autentica umanità tropicale che vive d’agricoltura e allevamento. Ma noi corriamo veloci verso sud, capaci solo di catturare sfuggenti volti di campesinos che alzano lenti il capo al nostro passaggio. La tedesca seduta davanti a me continua a mangiare noccioline americane e io penso che non vorrei essere seduto lì.
Mentre ci apprestiamo a Cienfuegos il cielo, di per sé già nuvoloso, va sempre più annuvolandosi. Un forte scroscio di pioggia ci colpisce ad una trentina di chilometri dalla città, un altro proprio mentre entriamo nella stazione delle corriere. Mi sorprende notare che l’acqua che cade dal cielo è tiepida e l’aria continua a mantenersi afosa sebbene piova. Una signora ci attende con un cartello con i nostri nomi, visto che l’avevamo chiamata mentre aspettavamo la corriera a l’Avana (una conoscente dell’addetto ai biglietti). A prenderci in consegna però è un ragazzo dalla pelle chiara che, dopo aver parlato con la signora, ci invita a seguirlo. Non sappiamo se dice la verità o se ci ha rubato semplicemente alla signora, ma noi lo seguiamo senza fiatare. La casa di Celestino, questo il suo nome, si trova qualche centinaio di metri dalla stazione, allontanandosi dal centro lungo Calle 56. Ci accordiamo per 15 CUC a stanza a patto di fare colazione e cena da lui.
Dopo poco siamo pronti per un breve giro della città. Cienfuegos, patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, mi appare come un agglomerato urbano dalle splendide fattezze ma bisognoso di un completo restauro. Molti edifici sembrano in procinto di cadere a pezzi. Ciò nondimeno la bellezza delle case è indubbia. Dove la mano dell’uomo è intervenuta, come intorno a Parque José Martì, si ammira un autentico gioiello coloniale. Mi piace osservare che i mezzi di trasporto pubblico più presenti in città sono le bici-taxi e il carretto trainato dal cavallo. Questo sì che è ecologicamente sostenibile.
Ad un tratto, camminando a caso alla ricerca di un locale dove bere un mojito, capitiamo nei pressi del lungomare, proprio mentre il sole si appresta a scendere oltre l’orizzonte. Ci godiamo in silenzio questo splendido tramonto, un momento di pace interiore che mi avvicina a quella perdurante tranquillità che mi rende perfetta la vita. Il mojito lo prendiamo in un locale di legno invaso dal fumo e da molte persone. Deve essere un momento particolare, in cui ci siamo inconsapevolmente inseriti, perché c’è anche un fotografo che scatta numerose foto. Una ritrae tutti gli avventori, noi compresi, con il padrone del locale. Il mojito è buono e scorre sciolto nelle vene dandomi subito un po’ di brio.
Da Celestino la cena è discreta, con un gran numero di gamberi fritti sufficientemente gustosi; buona anche la zuppa di fagioli e avocado, da accompagnare con l’immancabile riso. Ad aiutare Celestino in cucina c’è Ailin, la sua ragazza, molto carina e dal sorriso dolcissimo. I due, purtroppo, ci concedono solo la confidenza necessaria a svolgere il loro compito e noi siamo forse ancora troppo abulici per cercare un maggior contatto. Poi cenare da soli in casa è un altro passo verso la completa ghettizzazione.
Dopo cena Cienfuegos ci appare ancora più povera di vita dell’uscita serale. La cosa in parte ci delude, visto che ci aspettavamo una sorta di “movida cubana”. Ad attirare giovani ragazze vestite in modo succinto c’è solo il Benny, una discoteca vicino alla piazza principale. Camminando lungo il Paseo del Prado, da noi ribattezzato la Rambla di Cienfuegos, troviamo però un grande assembramento di persone nei pressi di un locale all’aperto. Avvicinati da un giovane ragazzo di colore scopriamo che è appena finito uno spettacolo di travestiti, finalizzato a sensibilizzare i giovani all’uso del profilattico. Non ci vuole molto per accorgerci che buona parte delle persone lì riunite sono travestiti o gay. Su indicazione del giovane ci dirigiamo verso il Malecon di Cienfuegos, dove troviamo molta gente intenta a chiacchierare seduta sul muretto che cade dritto nell’acqua scura della baia. Il peso degli sguardi che ci cadono addosso è molto forte... ci vorrà tempo per abituarsi.
Alla fine del Malecon giungiamo nei pressi di un altro locale all’aperto da cui proviene una musica sparata a mille. Gente di tutte le età, ma soprattutto di mezza età, balla con passione sotto un grande gazebo di legno in riva al mare, una passione enfatizzata dal tanto alcol che vediamo circolare nei pochi minuti che rimaniamo lì seduti. Purtroppo il locale è in chiusura e facciamo appena in tempo a bere un mojito e ad assistere ad una quasi rissa (un solo pugno ben assestato tra due cinquantenni).
Tornati sul Malecon ci lasciamo andare a qualche discorso sociologico. Seba d’un tratto afferma che tutto sommato noi viviamo meglio. La frase mi entra in testa e trova subito un blocco. Seduto sul muretto del Malecon, lo sguardo che vaga sulle persone che passeggiano sotto la fila di palme che accompagna la strada, penso che un pensiero su Cuba non può essere quasi mai innocuo. Una frase come quella di Seba, volente o nolente, lascia sempre sottintendere un giudizio politico, una trasposizione della critica che lì in quel momento mi appare inevitabile, un giudizio che non può che essere riferito al particolare processo politico noto come La Revolucion. Ma se è una profonda critica che dobbiamo muovere, e non un pensiero superficiale, ci si deve rendere conto che Cuba non può essere giudicata con i nostri parametri. Non puoi confrontarla con l’Italia ed il mondo occidentale, ma devi paragonarla ad altre realtà più o meno analoghe, come quelle centro e sudamericane o caraibiche. Solo così sarà possibile esprimere giudizi che abbiano un certo fondamento. Sono venuto a Cuba anche per questo, forte delle mie passate esperienze in America latina. Sono venuto qui anche per cercare di comprendere maggiormente il “Progetto Rivoluzione”.
Sabato 27 ottobre – Rancho Luna
Celestino ed Ailin dormono per terra in cucina. L’ha scoperto Seba andando alla ricerca di una bottiglia d’acqua.
Mi sveglio che sono passate da poco le otto, destato dai suoni che giungono forti dalla strada: macchine, biciclette, urla e quant’altro. La colazione che trovo imbandita sul tavolo è invitante, ricca e varia. Ci abbuffiamo con vero piacere.
Alle dieci arriva sotto casa il ragazzo di colore che avevamo incontrato il giorno prima in centro. Come da accordi è lì a chiederci se vogliamo partire per El Nicho, una serie di cascate nella vicina Sierra di Escambray. Il tempo è splendido e tutti e tre abbiamo voglia di dedicare la giornata ad una bella scampagnata per i monti. Prima di accettare il passaggio vogliamo però parlare con Celestino, sia per capire se anche lui è disposto a portarci, sia per capire se il prezzo proposto è buono. Alla fine partiamo con un amico del ragazzo di colore, un tipo paffuto e dalla parlata strascicata, che guida una macchina nera dai vetri oscurati. Appena saliti in macchina, però, l’amico ci consiglia di non andare verso le montagne. A suo parere la pioggia dei giorni scorsi ha reso la strada insidiosa, impraticabili i sentieri e brutte le cascate. Ci consiglia di andare a Rancho Luna, una spiaggia ad una decina di chilometri da Cienfuegos, molto frequentata dalla gente del posto. Dopo un combattuto confronto (combattuto perché a nessuno dei tre piace essere presi i fondelli... venire a conoscenza solo all’ultimo momento che la meta prescelta non è ottimale, dopo aver sentito di tutto per convincerti a salire in macchina, non è il massimo) decidiamo di andare verso la spiaggia.
Il paesaggio che si svolge a lato della strada è bellissimo, un mosaico di verdi brillanti che risaltano sotto i raggi del sole, con alcuni alberi sparsi che abbelliscono il profilo dei colli arrotondati. La spiaggia ha un colore giallo-ocra e non è finissima, ma la presenza dei colli verdi che la proteggono da un lato ed il blu cobalto del mare dall’altro la rendano piacevolissima. Siamo in pochi a godere dei suoi favori quest’oggi, un fatto che mi risolleva l’animo dopo la delusione di non essere andato a camminare in montagna.
La prima vera giornata in spiaggia è dedicata interamente al sole ed al mare, in sostanza un riposo continuo. Da annotare, in così tanta tranquillità, la chiacchierata con Romano, un cubano del posto. Per mantenersi dedica due-tre ore al giorno alla pesca, che pratica al largo con un fucile. Pesca aragoste, polpi e vari pesci, da vendere poi ai molti ristoranti sulla spiaggia. Ha ventisei anni, un corpo reso statuario dal tanto nuoto, una carnagione abbronzata, una chiacchierata affabile e all’apparenza sincera. Cominciamo a chiacchierare che siamo entrambi ad una decina di metri dalla spiaggia, l’acqua alla gola, le membra rilassate nell’acqua tiepida. Ama Cuba, vive una vita stupenda, ma c’è qualcosa che non funziona in tutto ciò. Si sente rinchiuso in una prigione, bella certo, ma pur sempre una prigione.
Verso il primo pomeriggio giungono in spiaggia alcuni signori italiani in età avanzata. Un paio sono accompagnati da splendide veneri nere, un accoppiamento che stride sotto molti punti di vista. Al momento di bere un mojito in un gazebo sulla spiaggia, ci lanciamo in discussione sulla dignità di tale gesto. Presi dalle chiacchiere, i mojitos diventano due e ritorniamo in città che siamo tutti un po’ brilli.
In parte galvanizzati dall’alcol, ma più perché cominciamo a sentirci pieni di energia, decidiamo di andare a correre. Nei pressi della casa particular c’è una pista d’atletica in terra battuta, un impianto sportivo sfruttato da molti cubani, più o meno giovani. Bambini giocano a calcio nel grande prato verde, una decina di muscolosi ragazzotti fanno esercizi ginnici su delle strutture in metallo, altri corrono a passo più o meno veloce lungo la pista. Lì sudati a correre, sembriamo finalmente tre cubani e gli sguardi indagatori sono minimi.
Per cena Celestino ed Ailin ci hanno preparato il ben di Dio. Il pollo con le patate è ottimo, come il riso ed i fagioli. Ci ingozziamo talmente che la stanchezza ci piomba addosso non appena posiamo le forchette sul tavolo. Però è sabato, quindi dopo aver fatto una breve siesta sul letto, partiamo ancora un po’ assonnati verso il centro. Per le strade non ferve alcun tipo di vita, come la sera precedente. Da qualche locale si sente uscire della musica, ma l’atmosfera generale è quella di una città tranquillamente addormentata. Prima fermata in un bar nel Parque José Martì, dove attendere che le forze e la voglia di fare tornino a prendere possesso dei nostri corpi, poi, visto che le strade permangono vuote, un salto veloce al Malecon. Per non concludere la serata come la precedente, entriamo in una discoteca la cui musica si ode dal lungomare, il Cabaret Costasur. Ci sono molte ragazze carine tra i tavoli e la musica sembra uscita da una discoteca italiana di dieci anni fa. Il nostro stato d’attesa permane, ma alla fine siamo abbordati da tre prorompenti cubane vestite in modo provocante. Dopo qualche chiacchiera e l’offerta di qualcosa da bere ci chiedono se vogliamo fare sesso con loro per 30 CUC. Al nostro rifiuto si allontanano stizzite, lasciandoci tornare a casa da soli nel cuore della notte.
Domenica 28 ottobre – Orto Botanico di Cienfuegos
A mezzanotte è scattata l’ora solare, quindi il sole alle sette è già stufo di scaldare. Mi sveglio alle urla del rivenditore di pane che passa in bicicletta sotto la finestra della camera fin dalle prime ore del giorno.
La mattina decidiamo di passarla camminando per le strade di Cienfuegos. Essendo domenica c’è molta gente per le strade, con piccoli concerti nella “rambla” o nei bar dove la gente improvvisa passi di salsa. La maggior parte delle persone è ferma a guardare, seduta tranquilla all’ombra, pronta a godersi la musica ed il tepore di questa bella giornata autunnale. Ma se la “rambla” ferve di vita, così non è per il Parque José Martì, che continua ad essere un luogo di piacevole calma.
Nelle due ore mattutine che concediamo a Cienfuegos, la città ci mostra la sua particolare architettura, fatta di casa ad un piano, le une appressate alle altre, direttamente costruite sul marciapiede. Su questo si aprono abitualmente solo una porta d’ingresso ed un’ampia finestra protetta da inferriate arzigogolate e da battenti di legno o lamiera. Una porta od una finestra aperta mostra stanze buie invase da un mobilio vario e antico, pieno di suppellettili. Le stanze sono molto alte, cosa che le rende ancora più cupe, almeno alla prima impressione. Spesso un signore anziano completa il quadro, seduto a sonnecchiare sull’immancabile sedia a dondolo davanti alla televisione o sulla porta d’ingresso ad osservare la strada. Molte di queste case sono in uno stato di degrado, ma le poche restaurate mettono in mostra la vera bellezza di questi edifici.
Ritornati alla casa ritroviamo ad aspettarci Celestino, con cui siamo rimasti d’accordo di andare a vedere il Giardino Botanico di Cienfuegos, quindici chilometri verso l’interno. Di per sé il solo montare in macchina è già un’emozione, visto che il mezzo di Celestino ha la veneranda età di quarantanove anni, ma appena usciti dalla città la meraviglia si fa ancora più grande. Il paesaggio è bellissimo, un dipinto di colli verdi, con pascoli inframmezzati da alberi sparsi o gruppi di banani. L’unico neo in tanta pace bucolica è rappresentato dall’immensa fabbrica di cemento che copre un’intera collina all’orizzonte, visibile da molti chilometri di distanza. Ma anche con questa oscenità nello sfondo, la visione rimane bellissima.
Per entrare al giardino botanico paghiamo 2,5 CUC a testa. È molto grande, tanto da non poterlo visitare tutto a piedi. Varrebbe la pena di prendere con sé una guida, perché manca qualsiasi cartellonistica, ma noi confidiamo nelle nostre conoscenze forestali, ovviamente sbagliando. Camminiamo da soli prima in un palmeto e poi in una zona d’acquitrini, per infine cedere, anche per stanchezza, alle lusinghe di un mojito nel piccolo bar del giardino. Rimaniamo così seduti a chiacchierare con Celestino, cosa che non c’era riuscita fino a quel momento. Scopriamo così che per avere una casa particular bisogna pagare 133 CUC al mese di tasse allo stato. Se l’afflusso turistico è buono, si vive più che bene, ma se cala il numero di turisti, vista anche l’alta concorrenza, i tempi possono farsi molto duri (negli ultimi due mesi ha affittato la stanza solo per quattro volte, un numero piuttosto basso anche per la bassa stagione). Continuiamo a parlare un po’ con lui di Cuba, conversando amabilmente sotto la veranda del locale, lo sguardo perso sul verde brillante del giardino, finché non giunge l’ora di tornare a Cienfuegos per ripartire verso oriente. Portiamo con noi in viaggio il ricordo positivo di Celestino e Ailin, il loro sorriso e la loro gentilezza.
La corsa verso Trinidad passa inizialmente tra i colli verdi visti in precedenza, con le montagne della sierra di Escambray che si fanno sempre più vicine, ammantate di un verde compatto che ne addolcisce le asperità. Cuba mi appare come una verde isola ancora in sintonia con la natura che la riveste, una sensazione difficile da incontrare da dove provengo. Nell’ultimo tratto del percorso incontriamo nuovamente il mare, però il sole è già tramontato oltre l’orizzonte ed il cielo inizia a tingersi di nero. Sono passate da poco le sei. Ma a cosa serve l’ora legale a Cuba dove la differenza di fotoperiodo tra le stagioni è minima?