The Down Under

Dal 3 febbraio al 6 marzo 2004

di Carlo Camarotto

Te Whakarewarewa
Haka
Martina
Lady Knox
Champagne Pool
Joe al lavoro
Dal vulcano Ngauruhoe
Gli Emerald Lakes
Ketetahi

Tappa numero 2, Dal 10 al 14 febbraio 2004

Il Plateau Centrale

Martedì 10 febbraio - Fuga da Kerikeri

Questa volta abbiamo dovuto per forza svegliarci alle sette perché avevamo prenotato la corriera per Auckland. Dopo un abbraccio veloce a Sara e Cinzia, abbiamo potuto abbandonare il Northland per correre verso nuove terre.

Ad Auckland abbiamo tentato nuovamente di noleggiare una macchina, prima vagando a piedi tra i vari autonoleggi nei pressi della stazione dei treni, poi sfogliando le pagine gialle e chiamando tutti i numeri gratuiti. Dopo una trentina di tentativi abbiamo dovuto arrenderci all’evidenza: a Rotorua avremmo dovuto andarci in corriera, che non abbiamo tardato a prenotare insieme a qualche posto letto per la sera.

Appena saliti sulla corriera abbiamo conosciuto Stephen, un ragazzo di Mendrisio (città del Ticino) in viaggio solitario per una ventina di giorni nel Down Under. Abbiamo scambiato amichevolmente quattro chiacchiere, ma poi la nostra attenzione è stata assorbita dalla visione del secondo film della serie del "Signore degli Anelli".

Tutto è proceduto come da programma finché la corriera non ha deciso che era ora di fare le bizze. Dopo qualche disperato tentativo di rimetterla in sesto, l’autista è stato costretto ad ammettere che era irrimediabilmente fuori uso (maledetto Bruno, ci ha gabbato). Dopo mezz’ora sono arrivati in contemporanea un meccanico ed una corriera sostitutiva.

Stephen non aveva nessuna prenotazione per dormire e da perfetto svizzero era preoccupato del ritardo accumulato: l’arrivo era previsto, dopo il contrattempo, per oltre le nove. Lo stesso problema si è presentato anche a Martina, una ventenne di Monaco seduta pochi posti dietro di noi: bionda, alta e con un bel sorriso. Questa volta noi italiani abbiamo fatto la figura delle persone previdenti... incredibile.

Li abbiamo rassicurati offrendo loro di seguirci all’ostello. Per loro fortuna abbiamo trovato subito i giovani gestori che non hanno avuto problemi a sistemare i due nostri nuovi compagni.

Solo alle dieci passate siamo riusciti a partire tutti e cinque per cercare un posto dove mangiare. Purtroppo, come sospettavamo, abbiamo trovato tutti i ristoranti chiusi (perfino il McDonald’s ha chiuso un’ora prima del previsto). Alla fine siamo stati costretti a comprare qualcosa di commestibile alla rivendita di un distributore di benzina. Per risollevarci il morale abbiamo cercato un bar: altra ricerca ardua, alla fine compensata dalla presenza nel locale anche di alcuni biliardi.

La coppia Christian-Giovanni ha stracciato il trio Carlo-Martina-Stephen, e così me ne sono andato a letto sconfitto e con ancora tanta fame.

Mercoledì 11 febbraio - L’haka

Il cielo è grigio e talmente basso da opprimere ogni senso. Come compagna di stanza abbiamo un fantasma di ragazza che è rincasata molto tardi ed è riuscita la mattina all’alba: sono l’unico ad aver avuto la sensazione di averla intravista.

Stephen e Martina decidono di rimanere in nostra compagnia e saranno ben presto totalmente inglobati nei nostri ritmi blandissimi. Il mattino, infatti, vola via senza quasi accorgersene, e solo nel primo pomeriggio ci incamminiamo verso Whakerekava, un sito termale, nonché villaggio maori, sito a tre chilometri a nord di Rotorua.

All’ingresso siamo tutti e cinque un po’ indecisi se spendere 18 $ per la visita, ma alla fine decidiamo di entrare. All’interno abbiamo il nostro primo incontro con le pozze solfuree, dal fortissimo odore di uova marce, e con i geyser, vera specialità della zona. Le case dei maori nuotano  tranquille tra i fumi nauseabondi e la loro vita scorre tranquilla anche ora che il villaggio è diventato un’attrazione turistica.

Tra la varia attività vulcanica, gustata tra sentieri che corrono tra bianche case di legno ed un bosco di sempreverdi, abbiamo partecipato anche ad un concerto di musica e balli tradizionali maori, tra cui non poteva mancare l’haka: lo sguardo dei maori, fisso su quello degli attoniti spettatori, era spiritato a tal punto da agghiacciarti le vene.

Tra gli immancabili negozietti per turisti, io e Joe abbiamo trovato una serie di maschera di legno di pregevole fattura. Il loro costo non era propriamente basso, ma nemmeno eccessivamente alto, quindi abbiamo dato fondo ai nostri quattrini.

Ritornati all’ostello, Martina ci ha lasciato per raggiungere una famiglia che l’avrebbe ospitata per il periodo in cui si sarebbe fermata nella regione. Siamo comunque rimasti d’accordo di rivederci il giorno seguente per visitare insieme un altro sito vulcanico famoso nei paraggi di Rotorua. Siccome Wai-Tapu dista circa trenta chilometri dalla città, abbiamo previdentemente già noleggiato una macchina per l’indomani.

Per la serata abbiamo deciso di puntare al Lava Bar, un locale consigliatoci da Sharon, la nostra coinquilina neozelandese che avevamo appena fatto in tempo a conoscere prima di uscire per la cena.

Sharon, un bel viso incernierato da lunghi capelli bruni, è originaria di un paese impronunciabile del sud, dalle parti di Invercargill. Al nord per vacanza, stava finendo i suoi giorni e presto sarebbe tornata a casa. Quando riusciamo a raggiungere il locale, la ritroviamo in compagnia di un ragazzo londinese, una sorta di nertz che ritroveremmo altre volte in giro per la Nuova Zelanda.

Nel locale ci sono due buttafuori di chiara origine polinesiana dalla stazza impressionante. Non c’è ancora molta gente, ma stanno continuando ad entrare persone, immancabilmente controllati dai due giganti bruniti. In breve il tavolo da biliardo, che campeggiava in mezza alla sala, viene tolto per lasciare lo spazio per ballare, un gruppetto di ragazze inizia a scandire le danze al suono di qualche nota pop ed il locale si anima della voglia di muoversi. Io e Chris decidiamo di entrare in pista in compagnia di Sharon, mentre Joe opta per una latitanza guardinga ai lati della pista. Stephen ci abbandona da lì a poco, con il pretesto di essere parecchio stanco, noi invece continuiamo ad osservare le varie bellezze locali (e non, vista la massiccia presenza di backpackers) circa fino all’una. La compagnia di Sharon è gradevole, ma in realtà l’unico che riesce veramente ad instaurare con lei una certa complicità è Chris... non sapere l’inglese è un limite enorme.

Giovedì 12 febbraio - Wai-Tapu

Il giorno prima avevamo deciso di lavare tutti i vestiti sporchi: una bella lavatrice e poi tutto a stendere per asciugarsi.

Quando ci svegliamo fuori piove: tutti i nostri vestiti sono bombi d’acqua (maledetto Bruno, comincio ad odiarlo).

Siamo come al solito lentissimi nel prepararci: Stephen è già fuori dalla stanza, ansioso, che noi non abbiamo ancora messo il piede fuori dal letto. Lo svizzero è preoccupato perché teme di non poter vedere lo spettacolo del geyser Lady Knox, la vera attrazione di Wai-Tapu, un geyser che erutta un getto di acqua bollente a oltre 20 metri d’altezza alle dieci ed un quarto in punto. Noi cerchiamo di tranquillizzarlo a parole, in realtà non facendo nemmeno lo sforzo di accelerare i nostri blandi ritmi.

L’appuntamento al Rental Cars con Martina è fissato per le nove meno un quarto; siamo pronti a partire tutti quanti solo per le nove e mezza. Il viaggio verso sud è allietato da canti popolari alpini e dalla solita verve spassosa dei due veronesi.

Wai-Tapu sorge ad una trentina di chilometri a sud di Rotorua ed è un’area termale tra le più rinomate, forse la più bella. Siamo giunti alla sua entrata che erano da poco passate le dieci, ormai certi di riuscire a vedere l’eruzione del geyser. Purtroppo abbiamo dovuto costatare che il geyser non era propriamente nei pareggi: bisognava riprendere la macchina e tornare indietro di qualche chilometro per prendere una svolta della strada principale: via di corsa sperando di arrivare in tempo.

Il geyser Lady Knox è circondato da tribune di legno, in quel momento gremite di persone che si lasciavano bagnare silenziose dalla pioggia via via crescente. Ci siamo posti tra loro aspettando l’evento. Dopo poco è apparso ai lati del geyser un uomo che ha iniziato a spiegare la sua storia: in realtà l’evento naturale non è così puntuale, ma con un piccolo aiutino (un po’ di sapone), si fanno i miracoli. Gettato infatti all’interno della bocca del geyser un sacchetto di carta, l’acqua ha iniziato ad uscire ribollendo, sempre più furente fino ad esplodere in tutta la sua potenza.

Intanto la pioggia aveva raggiunto una tale intensità da bagnarci tutti fino alle ossa. Tornati all’ingresso (biglietto = 18 $) abbiamo potuto accedere alla valle ricca di miasmi solfurei, inquietanti crateri originati dal cedimento del terreno con ribollenti acque oleose sul fondo, laghetti fumanti multicolori e bianche terrazze di silice. Un autentico inferno trasportato sulla Terra, un gioiello dalle mille sfaccettature colorate incastonato in un bosco ombroso.

La camminata in questo posto meraviglioso ci ha portato via quasi due ore, tra migliaia di foto scattate alle strane conformazioni geologiche, alle incandescenti fumarole ed agli scenari mefistici. È stata proprio una bella scelta venire quaggiù... peccato per la mancanza del sole, che avrebbe sicuramente reso il luogo ancora più suggestivo.

Tornati a Rotorua, abbiamo lasciato la macchina a Stephen e Martina: noi dovevamo asciugare i vestiti. Quando è venuta l’ora di partire verso sud, comunque, erano ancora umidi. Solo Stephen è con noi.

Taupo sorge in riva al lago omonimo ed è sommariamente identica a tutte le altre città visitate (con l’eccezione di Auckland): strade larghe a reticolo, case ad un piano piene di cartelloni, insegne e scritte di ogni genere (totalmente americane, totalmente insoddisfacenti).

L’ostello è proprio in centro e non è granché; da annotare la quasi totale mancanza di specchi nei bagni.

Consci del fatto che per cenare da queste parti è indispensabile non fare tardi, usciamo rapidi per strada e scegliamo un locale nei pressi del lago con i tavolini all’aperto ancora baciati dal sole. Frutti di mare impanati e patatine fritte, il tutto bagnato da una pinta di birra.

Puntata veloce al bar dell’ostello e poi a letto presto. L’indomani la sveglia è fissata alle cinque e quaranta: vogliamo fare il Tongariro Crossing, il percorso di un giorno definito il più bello della Nuova Zelanda. Purtroppo non siamo stati così scaltri da prenotare dei posti sull’unica corriera per il punto di partenza del trekking... ci affideremo alla speranza.

Intanto per le strade impazzano musica pop ad alto volume, schiamazzi di donne e clacson di macchine. Il tutto andrà avanti fino alle quattro, facendomi dormire ben poco.

Venerdì 13 febbraio - Tongariro Crossing

Al risveglio, fuori è ancora buio e fa freddino. La Nuova Zelanda mi ha sorpreso per il suo clima, più freddo di quanto pensassi: anche a Kerikeri, nel nord, c’era da coprirsi quando calava il sole.

Alla fermata stanno già aspettando una decina di persone, tutte con il loro bel biglietto in mano. Dopo poco mi accorgo di aver dimenticato la macchina fotografica all’ostello, ma ormai è troppo tardi perché scorgo all’orizzonte la corriera: mi salgono alla bocca infinite maledizioni, trattenute solo in parte.

Ma la fortuna è dalla mia, stamane. Non solo riusciamo a salire sulla corriera, ma questa, appena partita, si ferma proprio di fronte al nostro ostello per raccogliere altre persone. Non ho che da chiedere all’autista di aspettarmi un attimo ed ho di nuovo la macchina fotografica tra le mani.

Il viaggio dura circa due ore ed il sole è già sorto da un po’ quando ci apprestiamo al cammino. Fa ancora abbastanza fresco ed un vento gelido penetra facilmente attraverso le maglie dei vestiti.

C’è moltissima gente, veramente troppa: nessuno di noi è contento di questo aspetto super turistico del trekking. Giovanni e Christian partono in quarta, seguiti a ruota da Stephen; io rimango attardato perché scatto un mucchio di fotografie.

La prima parte del cammino è in piano o solo lievemente in salita. La vegetazione è bassa e ricopre uniformemente la piana ed i colli che la cingono. Vari tratti di sentiero sono attrezzati con passatoi di legno, probabilmente per mantenere il più intatto possibile l’ecosistema che stiamo attraversando. Ai piedi della prima grande salita, Giovanni decide di procedere al suo primo campionamento: raccolta di oligogheti e macroinvertertebrati di torrente.

Ripartiamo in mezzo alla folla e ci facciamo subito notare per l’elevata velocità d’ascesa. Io sono di netto il più lento e sento il fiato corto e le gambe molli fin dall’inizio. Dopo trecento metri di salita raggiungiamo la base del vulcano Ngarhue, il Monte Fato nel film "Il Signore degli Anelli".

Decidiamo di scalarlo (pazzi scatenati) ed in breve ci ritroviamo ad arrampicarci su un sentiero sabbioso che si fa sempre più ripido ed insicuro. Il vulcano Ngarhue è un cono quasi perfetto che s’innalza per seicento metri dalla forcella di partenza, con una macchia di roccia rossastra proprio vicino all’estremità. Un’isola di rocce nere emerge da metà tragitto fino alla cima, ed è a quell’appiglio sicuro che ci affidiamo per superare le insidie dei ghiaioni sabbiosi che precipitano verso valle (le pendenze sono veramente impressionanti).

Giovanni e Stephen sono in testa, mentre io e Chris arranchiamo nelle retrovie. "This is a nightmare", ripete sovente il mio compagno di sventura e non ho fiato per rispondergli.

Arriviamo in vetta in poco più di un’ora e ci godiamo il meritato panorama che svaria tra le cime innevate di altri vulcani, laghetti alpini intensamente colorati e verdi piane che si perdono lontane all’orizzonte.

Mangiamo seduti sul bordo del cratere e ripartiamo rapidi: il tempo per arrivare a prendere l’ultima corriera per Taupo non è molto, e rimanere a terra senza un posto dove andare a dormire non è il massimo. Gli altri decidono di scendere da un lato del vulcano, io preferisco scendere da quello per cui siamo saliti. Immancabilmente ci perdiamo di vista. Li aspetto per mezz’ora alla base del vulcano e poi mi incammino verso est. Dopo aver superato la piana desertica alle pendici del Vulcano Tongariro, incontro due ragazzi che mi dicono che i miei compagni mi stanno aspettando più avanti sul sentiero. Li ritrovo poco dopo, seduti alla base di una roccia intenti a riposare.

Causa l’imprevisto, abbiamo perso altro tempo prezioso e Stephen comincia a preoccuparsi sul serio. Si mette in testa al gruppo e comincia a camminare rapido, scandendo un ritmo da podista. Intanto sia io sia Joe cominciamo ad accusare le prime avvisaglie di crampi, ma stoicamente non molliamo.

Tra salite e discese giungiamo in prossimità di alcuni bellissimi laghetti di un azzurro talmente intenso da mozzare il fiato. Alcuni escursionisti si stavano facendo il bagno (l’acqua è freddissima) e tra questi una ragazza che si è spogliata davanti a noi mettendo in evidenza due splendidi seni turgidi.

Di nuovo diretti verso la meta, passiamo ammirati dalle zone prive di vegetazione della parte più alta del percorso a fasce di vegetazione erbacea alte fin oltre la vita ed ad una lussureggiante foresta di podocarpacee. Ormai il sentiero è per lo più deserto e tutta la meraviglia dei paesaggi ci è donata senza compromessi. Camminando talmente veloci da dimezzare gli orari indicati dalla cartellonistica, arriviamo a prendere la corriera in perfetto orario.

Ritornati a Taupo ci concediamo il lusso di una doccia calda e poi usciamo a mangiare. Per spendere poco puntiamo ad un fast food, ma poi veniamo attratti da uno dei pub del centro e due giri di birra passano senza accorgersene. Il locale è abbastanza grande e comincia ad affollarsi poco dopo il nostro arrivo. Ci sono gli onnipresenti buttafuori, grandi come armadi, e la maggior parte delle ragazze ha la tipica pancia da birra (mi mancano un po’ le italiane). Dopo poco si può anche ballare: io e Chris, seguiti dopo poco da Stephen, non perdiamo l’occasione per sgranchirci un po’ le gambe. Verso l’una, però, siamo costretti ad alzare bandiera bianca: non mi accorgo nemmeno di appoggiare la testa sul cuscino.

Sabato 14 febbraio - Giornata tranquilla

Alle nove Stephen è già sveglio perché deve partire per Whanganui. Lo salutiamo ancora da sotto le coperte e lui ci lascia in dono una barretta di cioccolato (proprio svizzero ‘sto ragazzo).

Prima necessità è scoprire se quanto detto da due spagnoli la sera prima, e cioè che a Wellington non si riusciva a trovare un posto da dormire a causa dell’imminente concerto di David Bowie, corrispondesse a verità. Dopo un bel po’ di telefonate siamo certi della veridicità della notizia.

Decidiamo allora di prendere la corriera per il sud all’una di notte, in modo da arrivare a Wellington la mattina presto. Dobbiamo passare così l’intera giornata a Taupo.

Mentre Chris corre a telefonare alla sua banca per risolvere il problema della carta di credito (che non funziona da parecchi giorni), io e Joe ci spaparanziamo sul verde prato di un parco ad aspettarlo. Il cielo è per lo più privo di nubi ed il sole può bruciarci la pelle indisturbato.

Quando ci riuniamo è già ora di mangiare. Optiamo per un pranzo al sacco: dopo aver comprato tutto il necessario nel più vicino supermercato, scegliamo con cura uno spazio verde dove fare pic-nic. Capitiamo così per caso nelle vicinanze di alcuni campi da tennis.

Senza troppe pretese Joe e Chris decidono di cercare delle racchette a noleggio. Li vedo tornare dopo un po’ raggianti, con due pezzi da museo nelle mani.

Iniziamo così a giocare sotto un sole che a dire infuocato è poco (Christian fa tempo a bruciarsi la pianta dei piedi sull’asfalto bollente dopo aver tentato di giocare scalzo).

Alle quattro e mezza siamo tutti e tre belli e sudati, ma manca ancora un abisso di tempo alla partenza della corriera.

Ci buttiamo sul lungo lago e, dopo una camminata avventurosa sulla riva invasa dalla vegetazione, troviamo un bel prato verde su cui sistemarci. Tra chi si fa il bagno e chi rimane a prendere il sole, il tempo ci scorre tranquillo fino quasi a sera.

Prima di cenare a base di panini e coca-cola, abbiamo anche il tempo di farci una partita a minigolf, attività in cui Christian eccelle per davvero.

L’ultima ora d’attesa la passiamo di fronte al locale della sera prima, così intanto ascoltiamo un po’ di musica che fuoriesce dalle finestre e dalle porte aperte. Purtroppo la presenza ingombrante degli zaini è un vincolo dal quale non possiamo fuggire (considerando che la sera prima dei buttafuori di un locale ci avevano fatto cenno che non potevamo entrare perché Joe aveva i pantaloni della tuta, viene difficile pensare che ci accettino con un fagotto di quindici chili sulle spalle).

La corriera è puntuale e piena in ogni ordine di posti, ma tanto abbiamo il posto prenotato. Non rimango comunque sveglio per molto.