The Down Under

Dal 3 febbraio al 6 marzo 2004

di Carlo Camarotto

Verso Kaikoura
Seaward Kaikouras
Kaikoura
Un pinguino

Tappa numero 4, Dal 21 al 23 febbraio 2004

Kaikoura e Christchurch

Sabato 21 febbraio - verso Kaikoura

Dopo una tranquilla colazione in centro, ricerchiamo vanamente i due israeliani per il saluto finale.  Purtroppo di Moran e Gali nemmeno l’ombra. È così che partiamo verso sud con il sole alto nel cielo, anche se già incombono alcuni nuvoloni nerastri: non ci vuole molto per ritrovarsi a correre sotto la pioggia.

Quando ripassiamo per la "Capitale mondiale della cozza dal guscio verde", al secolo Havelock, Christian lancia l’idea di fermarsi per pranzo. Il fatto che io l’accetti mette Giovanni in minoranza. Parcheggiamo la macchina e ci ripariamo dalla pioggia in un ristorantino sulla strada fervente di vita.

Tra enormi piatti di cozze, bollenti zuppe di pesce e del buon vino bianco neozelandese, ripartiamo dopo mezz’ora pienamente soddisfatti.

La nostra corsa continua fino a Blenheim ed oltre, con destinazione Kaikoura. Procedendo verso sud, si alternano alla guida Christian e Giovanni, anche se quest’ultimo, come il sottoscritto, è privo di patente (lasciata sbadatamente in Italia). Per fortuna non incrociamo nessuna macchina della polizia e la strada, una sinuosa lingua d’asfalto che corre tra bellissime colline dorate, è per lo più priva di traffico.

Poco prima di Kaikoura la strada riappare in vicinanza dell’oceano, dandoci così l’opportunità di ammirare alcuni affascinanti scorci di costa. Sugli scogli ai lati della strada se ne stanno spesso tranquille a prendere il sole le foche, magari con i piccoli intenti a giocare nell’acqua sbattuta dalle onde.

Kaikoura è una piccolo paese incastonato in uno scenario da favola. Da un lato l’oceano e la piccola appendice di terra chiamata Kaikoura Peninsula, dall’altro alte montagne che si ergono aguzze verso il cielo (Seaward Kaikouras). La piana della piccola penisola cade quasi a picco nel mare mostrando la nuda roccia color del grano; alla base delle falesie si sono formate piccole spiagge ghiaiose e costoni di roccia puntualmente sommersi dall’alta marea. A poche centinaia di metri dalla riva, il fondo marino si inabissa fino ad oltre 1600 metri: sono queste pareti verticali sottomarine che, dando vita a forti correnti ascensionali, fanno si che le acque siano ricchissime di nutrimento, richiamo irresistibile per i grandi cetacei. L’attrazione principale di Kaikoura sono proprio loro, le balene e i capodogli.

Arrivati in paese proviamo a cercare un posto da dormire, ma è tutto al completo.

Ci rendiamo conto di quanto Kaikoura sia gettonata anche quando proviamo a prenotare un’uscita in barca per avvistare le balene. La domenica è tutta occupata e per questo non possiamo far altro che prenotare un’uscita per il lunedì: la spesa è abbastanza onerosa (110 $ a testa), ma è un’occasione unica. All’ufficio informazioni, in pieno centro al paese, chiediamo anche se riescono ad indicarci un posto dove dormire: ci indirizzano in un vecchio motel (Sierra Beachfront Motel) a dieci minuti a piedi verso la penisola.

Qui tutto profuma di vecchio e la mente è trasportata inconsapevole agli inizi del secolo scorso.  C’è comunque una bella terrazza al primo piano dove è possibile ammirare l’oceano scomparire scuro all’orizzonte.

La giornata continua ad essere variabile, con il cielo alle volte coperto ed un venticello per nulla caldo. Quando ormai si è fatto buio, puntiamo verso il centro per berci una birra. Scegliamo un locale con l’immancabile tavolo da biliardo ed un giardinetto sul retro. Alcuni tavoli sono occupati da due gruppi di ragazze, ma per il resto il posto è desolatamente vuoto. La nostra attenzione è comunque attratta da tre ragazze che chiacchierano amabilmente tra loro in una lingua a noi sconosciuta. Secondo Christian è svedese, ed i tratti di due di loro sono effettivamente nordici, l’altra pare invece indiana. I nostri commenti nei loro confronti non sono sempre da perfetto Lord inglese, e quando riusciamo ad attaccare bottone mi vergogno un casino nel sapere che una di loro parla perfettamente la nostra lingua.

Maria è stata a Bormio per sei mesi, lavorando come cameriera in un locale. Amando il nostro bel Paese e la sua lingua, si dimostra subito felice di poterla praticare nuovamente. Le altre due ragazze, Frida e Anna, non parlano l’italiano, quindi è compito di Christian intrattenere con loro una conversazione.

La serata trascorre così in allegria, soprattutto perché le tre svedesi, abbastanza avanti con l’alcol, si dimostrano parecchio espansive. Purtroppo ad un tratto si unisce alla piccola combriccola una coppia di neozelandesi, lui con qualche birra di troppo in testa. Il suo inglese è praticamente incomprensibile per le mie orecchie, ma non posso non notare che le sue parole lasciano allibiti sia Christian che la sua donna. In breve le tre svedesi decidono di levare le tende e ci lasciano soli.

Rimasti con il neozelandese, ci sorbiamo ancora un po’ i suoi strampalati discorsi finché la ragazza non decide di portarselo via con la forza.

Domenica 22 febbraio - Kaikoura Peninsula

Il cielo è coperto da un grigio strato di nubi e spira un forte vento dal mare.

La strada principale del paese è solo mediamente in fermento e non sono molte le persone che passeggiano sui marciapiedi in questo grigio giorno di febbraio. Scegliamo così di andare a far visita alla Kaikoura Peninsula e la scelta viene anche premiata dai primi raggi di sole che bucano l’intenso strato di nubi.

Lungo la strada troviamo anche le svedesi che camminano lente verso la nostra stessa destinazione. Continuiamo in macchina fino al parcheggio in cui termina la strada asfaltata. Oltre un basso muretto si estende una piana di roccia bianca lasciata scoperta dalla bassa marea. I raggi del sole, ormai padrone incontrastato del cielo, riverberano accecanti sulla roccia ed impediscono quasi di tenere gli occhi aperti.

È nostra intenzione arrivare fino al termine della piana, il punto più lontano dalla riva, ma un braccio di mare, profondo fino ad oltre le ginocchia, ci ostacola il cammino. Noi tre non abbiamo dubbi nel proseguire, ma delle svedesi solo Maria ci segue. La piana prosegue per un altro centinaio di metri fino a degradare con una serie di scogli nell’oceano. Le estremità sono presidiate da svariate foche che ci osservano un po’ indispettite se ci avviciniamo troppo. Tra la lieve brezza ed il sole, è un vero piacere osservarle.

Mentre Christian è intento a cercare un varco tra le foche per raggiungere l’oceano, io e Joe cogliamo nuovamente l’occasione per abbronzarci un po’. In nostra compagnia è rimasta anche Maria, con la quale continuiamo a chiacchierare in italiano. Dopo un po’ ci raggiungono Frida e Anna con la notizia che la marea ci sta tagliando fuori dalla terraferma.

Con la tipica flemma italiana torniamo sui nostri passi: il braccio di mare è già profondo poco sotto la cintola. Appena giunti di là delle acque, le tre svedesi ci salutano: erano molto più di compagnia la sera prima, forse perché un po’ brille.

Noi tre rimaniamo ancora a prendere il sole finché l’acqua non inizia a lambirci i piedi, poi ci incamminiamo lungo la costa della penisola, sospinti soprattutto da Christian, quanto mai esploratore. Gli scenari della Kaikoura Peninsula sono veramente affascinanti, un pezzo d’Irlanda trapiantato nel sud del Mondo. Le falesie sono sostenute alla base da semplici spiagge ciottolose e alla sommità vestono di un cappello d’erba verdissima mossa dal vento.

Camminiamo fino quasi all’altro lato della piccola penisola e poi, seguendo un sentiero ben tracciato, saliamo su per un versante giungendo sulla piana sommitale. Distesi sul prato, facciamo vagare il nostro sguardo sulle docili vacche al pascolo, sulle aspre montagne innevate e sulla vastità dell’oceano.

Tornati alla macchina, ammiriamo il cambiamento di paesaggio avvenuto dalla nostra partenza. La piana è scomparsa sotto le onde che sbattono agitate contro il muretto che prima avevamo con facilità scavalcato.

Ormai è sera e così torniamo al motel per sistemarci per la cena. Kaikoura è famosa anche per le sue aragoste: non possiamo esimerci dall’assaggiarle (mezza aragosta costa 39 $, circa 25 euro).

Lunedì 23 febbraio - I Capodogli, i delfini ed un solitario pinguino

La giornata non è delle migliori, grigia e un po’ ventosa: l’uscita in mare sarà un po’ movimentata. Incautamente, prima della partenza mi faccio attrarre da dei croissant che voglio intingere in un cappuccino: mi è passato completamente di mente che soffro terribilmente di mal di mare.

L’approdo al quale siamo diretti si trova nel South Bay, dall’altro lato della Kaikoura Peninsula. Lì ci aspetta un catamarano dall’aspetto bello e solido. L’organizzazione è perfetta e si capisce dove vanno tutti i soldi che abbiamo speso.

Il catamarano ha solo posti a sedere all’interno dello scafo, ed è dotato di un grande schermo dove vengono trasmesse immagini tridimensionali animate della barca e dell’ambiente circostante, con aggiornamenti in tempo reale della profondità, della velocità e della direzione di navigazione. L’equipaggio è interamente composto da giovani ragazzi, tra cui svariati maori. Uno di questi ci spiega esaurientemente la particolarità dell’ambiente che andremo a visitare, con interessanti dissertazioni sull’etologia dei grandi cetacei della zona.

Intanto il mare è proprio movimentato e sia io sia Christian, altro dallo stomaco debole, cominciamo già a sentire le prime sensazioni sbagliate.

Dopo poco avvistiamo la prima balena e, all’ordine dell’equipaggio al momento dell’arresto della barca, ci lanciamo tutti fuori a vederla. È un capodoglio intento a ricaricare i polmoni d’aria. Non passa molto tempo, però, che si inabissa mostrandoci solo di sfuggita la grande pinna caudale. Il capodoglio si nutre nelle lontane profondità del mare e risale in superficie solo per ricaricarsi d’aria, rimanendoci all’incirca una ventina di minuti. La "caccia" agli altri individui è fatta con l’aiuto di ecosonar ed un elicottero che perlustra il mare dall’alto.

Mentre la ricerca continua con tre fallimenti consecutivi, a non fallire è il mio malessere che cresce sempre più rendendomi il viaggio quasi penoso. Mi porto appresso il sacchettino di carta ed arranco per la barca sempre più pallido. Anche Christian sta male, ma sembra messo meglio di me. Giovanni sfotte.

Dopo un po’ la fortuna ci assiste e riusciamo ad avvistare tre capodogli consecutivamente. Soddisfatti, abbandoniamo i grandi cetacei per navigare un po’ con i delfini più vicini alla costa. Ce ne sono a centinaia, tutti che si divertono a compiere acrobatici tuffi, quasi volessero aggraziarsi le nostre simpatie.

Sono quasi le undici quando attracchiamo nuovamente al molo, con il sollievo mio e di molti altri compagni di viaggio.

A quel punto abbiamo tutto un pomeriggio per raggiungere Christchurch.

All’uscita di Kaikoura, Christian si rifiuta di fare un centinaio di metri verso nord per fare benzina, adducendo come scusa il fatto di aver visto l’insegna di un distributore verso sud (ovviamente mentendo spudoratamente). Con la lancetta del carburante vicinissima all’empty, ci dirigiamo così verso la South Bay e parcheggiamo un attimo a lato della spiaggia per ammirare i giochi dei delfini che ancora si divertono in mare.

Poco lontano scorgiamo un pinguino solitario, fermo lì in piedi sulla battigia. Ci avviciniamo con circospezione, per non impaurirlo, e decidiamo di fargli compagnia. Non pare in grande forma e l’unico suo movimento è quello di alternare la posizione eretta con quella sdraiata sulla pancia. Tre svassi se ne stanno nelle vicinanze e danno l’impressione di essere tre avvoltoi in attesa del triste evento. Al momento di partire provo un po’ di pena nel lasciarlo lì da solo.

La strada verso sud è inizialmente un tortuoso sali e scendi a lato della costa. Di centri abitati neanche l’ombra. Lo spettro di doversi fare svariati chilometri a piedi con una tanica di benzina in mano comincia ad aleggiare, sempre più consistente dopo ogni curva senza esito, ma è comunque in parte esorcizzato dalla nostra costante allegria. Siamo ormai in grado d’accettare le insondabili decisioni del destino senza batter ciglio.

Bruno è decisamente sconfitto, anche perché ad un tratto ci appare un benzinaio, che possiede pure in vetrina un bellissimo cartello con la scritta: Coffee Free.

Non abbiamo nessun altro problema nel raggiungere Christchurch, la città più grande dell’isola del sud. Così a prima vista, la città ha molto più di britannico di qualsiasi altra città finora visitata: per certi versi non pare di essere dall’altra del mondo, ma in un angolo della vecchia Europa.

Vaghiamo un po’ per il centro, ma in breve arriva l’ora della cena: ci scappa l’immancabile giapponese, ampiamente rappresentato in tutta la Nuova Zelanda, come tutte le cucine asiatiche. Dopo cena puntiamo al cinema per vederci il terzo episodio del Signore degli Anelli: capisco poco, ma il solo catturare qualche parola mi sembra già un enorme successo.

Il volo di Christian è fissato per le sei e mezza di mattina, così decidiamo all’unanimità che è giunta l’ora di dormire in macchina nei pressi dell’aeroporto.

Il saluto all’amico è, come sempre accade in questi casi, più frettoloso di quanto si vorrebbe. Un abbraccio fraterno, la dichiarazione del piacere della comune esperienza, la ripromessa di rimanere in contatto, e poi lo vediamo scomparire all’interno del terminal.

Non posso che essere un po’ triste.