Tappa numero 2, Dal 17 al 20 gennaio 2005
Lunedì 17 gennaio – Navigando verso sud
La colazione tanto decantata da Veronica ha come unica novità una scodella di muesli; per il resto il solito pane, burro e marmellata inzuppata nell’acqua al gusto di caffé.
Mentre prepariamo gli zaini per la sospirata partenza, Veronica torna dal terminal delle corriere con delle new entry per la notte. A quattro ragazze viene assegnata la nostra stanza, quindi da un lato loro devono aspettare che la liberiamo, dall’altro a noi viene messa addosso una fretta inaspettata e indesiderata.
Altri due ospiti di Veronica partiranno con noi sulla Navimag, una canadese dal fondo schiena perfetto ed un anglofono dalla provenienza sconosciuta. Il tipo cerca di scambiare quattro chiacchiere con me in spagnolo, ma non capendo una parola di quello che dice penso sia inglese e gli rispondo “Sorry, I don’t speak english”… grasse risate.
Tra la consegna dei bagagli e l’imbarco abbiamo un po’ di tempo per vagare per il mercato e vedere se si riesce a prenotare un posto da dormire alle Torres del Paine (sapremo solo giovedì, cioè all’arrivo a Puerto Natales, se ci hanno accettato la richiesta di un alloggio alla Posada Rio Serrano). Lippifi decide di fare tutti i suoi acquisti ad Angelmò, Seba si astiene rimandando il tutto a data da destinarsi, io compro la consueta maschera di legno (di cui faccio collezione) e due bottiglie di Liquor de oro (prodotto tipico dell’Isola di Chiloè) aromatizzato ai mirtilli e all’uva passa. L’idea è quella di bersele in nave, ma scopro in seguito che ciò è vivamente sconsigliato.
Mentre aspetto d’imbarcarmi faccio conoscenza con la guardia a terra della Navimag, un tipo panciuto e gioviale, ma con manganello e occhiali da sole per apparire più temibile, con solo una grande voglia di parlare con qualcuno delle centinaia di turisti assiepati nel suo territorio. Saputa la mia nazionalità non cela minimamente l’estrema simpatia che prova per noi italiani: ci considera tra i popoli più simpatici ed amichevoli.
Le operazioni d’imbarco sono abbastanza lunghe, anche perché siamo più di duecento a dover salire a bordo. Al piano più basso dello spazio aperto al pubblico ci sono i dormitori, un intricato insieme di piccole celle (loculi) di legno che creano un labirinto tutto uguale dove è facile perdere la strada. Sul ponte superiore c’è una sala pub e, oltre a questa verso poppa, una bella terrazza piena di panchine. Tutti i passeggeri si sono dati naturale appuntamento lì in attesa della partenza. A far loro compagnia un sole parecchio temibile e le cime innevate dei due vulcani della zona: anche l’Osorno è visibile in tutto il suo splendore.
L’insieme dei passeggeri è quanto mai vario. Giovani ed anziani equamente ripartiti, nord americani e tedeschi in grande maggioranza, ma anche nutriti gruppi di francesi e belgi, pochi italiani e qualche sudamericano (argentini o cileni). Ci sono anche dei veri passeggeri, gli abitanti delle isole della Patagonia cilena che sfruttano il passaggio della Navimag per tornare a casa.
Con la Navimag in movimento la terrazza a poppa si dimostra un luogo un po’ ventoso, se non nei posti centrali riparati dal castello formato dal pub. È quest’ultimo a diventare il ritrovo naturale dell’allegra brigata.
Dopo poco veniamo tutti chiamati nella sala ristorante per parlare un po’ del viaggio e delle norme di sicurezza. Abbiamo due animatrici, Nicole e Cilde, entrambe cilene, simpatiche e sorridenti; una parlerà in spagnolo e l’altra ripeterà il tutto in inglese. Nicole ci spiega che la navigazione rimarrà tranquilla fino alle sei di sera dell’indomani, poi si entrerà nell’area oceanico (Golfo di Penas) dove si ballerà per circa 12 ore; in seguito si rientrerà a navigare tra i fiordi, quindi in acque tranquille.
In un simile ambiente viene quasi naturale cercare di fare più conoscenze possibili. La prima occasione si presenta a cena (self-service con all’incirca due ore per servirsi e mangiare; ottima la qualità dei cibi). Facciamo conoscenza con due ragazze che si siedono in parte a noi: Hilde, belga fiamminga, e Jasmina, francese, entrambe in viaggio solitario nel sud del mondo. Jasmina è molto carina, forse la più bella ragazza sulla nave, ma non parla una parola di spagnolo ed è difficile comunicare; Hilde, capelli corti neri e due bellissimi occhi verdi, ha lavorato per tre mesi in Perù prima di dirigersi verso sud, quindi parla uno spagnolo comprensibilissimo. La cena, purtroppo, non dura molto ed abbiamo il tempo per scambiare solo poche parole.
Momento fondamentale. Prima di ogni pasto, per circa un’ora, sulla nave prende vita “l’Happy Sour”, il miglior pisco-sour della Patagonia (a detta di Nicole) a soli 1.000 pesos (1,40 euro) a bicchiere. Già con la prima cena abbiamo inaugurato la tradizione di sederci comodi al bancone del bar per trangugiare un po’ di aperitivi.
Dopo cena il pub si rianima con musica dal vivo (un tipo con la pianola), con le tante birre (tedeschi e americani), il tanto vino (francesi e italiani) e i molti pisco-sour (cileni e argentini). Dopo le nove è possibile anche fumare nel pub (unico luogo consentito) ed in breve la stanza si riempie, purtroppo, di fumo.
Fuori il cielo è limpido e la luna colora di riverberi argentei le acque scure solo lievemente ondulate. Il silenzio è totale.
Martedì 18 gennaio – Pacifico un corno
Lippifi è gia cambiato e sbarbato quando l’altoparlante mi sveglia avvertendomi che la colazione è pronta: sono le otto. In sala ristorante il cibo è più che abbondante, con uova, patate, pancetta, cornflakes, yogurt, burro, marmellata e succhi di frutta.
Fuori dalle ampie vetrate, il cielo è carico di nubi scure ed una fine nebbiolina è posata sulla nave. Il paesaggio è comunque fantastico perché stiamo percorrendo lande mai contaminate dall’uomo che sono ancora cariche di tutta la loro ancestrale magia. Le montagne sembrano galleggiare per oltre duecento metri sulle acque nere e sono completamente ammantate da una vegetazione scura, compatta ed inviolabile.
Usciti all’aperto ammirando tutto ciò, ci raggiunge a breve Hilde. Anche lei è diretta alle Torri del Paine ma non ha ancora un piano delineato: è indecisa se noleggiare una tenda a Puerto Natales o provare a prenotare lì qualche rifugio. Comunque sia, noi le parliamo della Posada Rio Serrano e le aumentiamo i dubbi.
Nella sala ristorante trasmettano, durante tutto il giorno, dei documentari sulla Patagonia cilena: la fauna, la flora, il Campo de Hielo Sur e i kawéskar (popolo indigeno di queste lande). Sono proprio quest’ultimi i più trattati, anche perché stanno rischiando di scomparire insieme alle loro tradizioni.
I kawéskar vivevano sempre su delle imbarcazioni, tratte da un solo tronco, dove cacciavano i leoni marini (di cui consumavano davvero tutto, un po’ come noi con il maiale). L’uomo stava a prua per cacciare, i bambini in centro per mantenere accesso il fuoco e le donne a poppa a guidare la barca seguendo le indicazioni dell’uomo. Solo quando c’era veramente brutto tempo o quando veniva trovata una balena morta (in questo caso venivano chiamati tutti i membri delle tribù a banchettare… per comunicare usavano dei messaggi di fumo) i kawéskar scendevano a terra e costruivano una tenda (detta choza). Erano nudi e si coprivano con il grasso per ripararsi dal freddo; così ricoperti riuscivano perfino a nuotare nelle gelide acque di questi canali. Con l’arrivo dell’uomo bianco sono arrivate anche le malattie, l’alcol e i vestiti (non erano abituati a vestirsi e avere addosso un vestito bagnato ha facilitato l’insorgenza di malattie), insomma, è iniziato lo sterminio.
La giornata è tutto un alternare visione di documentari in sala ristorante a estasiati appostamenti sul ponte di poppa per ammirare la selvaggia Patagonia cilena. Con il prosieguo della giornata, infatti, appare a tratti anche il sole che rende più piacevole la vita all’esterno. In alternativa, quando il sole è coperto, c’è il pub ad ospitarci. Sono proprio seduto al bancone del bar quando sento la nave rollare lievemente per la prima volta: siamo ancora distanti dal mare aperto, ma la potenza dell’oceano comincia già a farsi sentire.
Pur avendo preso tutte le precauzioni del caso, la nausea comincia a salire a dispetto di tutto che l’oceano non è ancora visibile. Nessun posto della nave sembra darmi sollievo, se non rimanere a prua dove il vento ti sferza con decisione il volto e il sole, verso cui puntiamo, incendia con gli ultimi raggi del giorno l’oceano con milioni di riverberi accecanti. Le onde sono prese di punta e fanno alzare la prua per parecchi metri: pare proprio di cavalcare il Pacifico. Purtroppo, non appena il sole scompare, lì inizia a fare troppo freddo e devo tornare a poppa. Rimango seduto da solo sulle panchine per un bel po’, poi mi decido ad andare a dormire. Insospettabilmente mi addormento subito smettendo così di soffrire.
Mercoledì 19 gennaio – Puerto Eden
Alle sette e mezza già cammino per il ponte di poppa, addosso una buona dose di energia e il malessere del giorno prima completamente scomparso. Durante la notte siamo tornati a navigare tra i fiordi: le acque intorno alla nave ora sono calme come l’olio. La giornata è splendida ed il sole sembra chiamarti all’abbronzatura. Inizialmente sono solo lì seduto sulle panchine della terrazza, ma in breve tutti i posti vengono occupati da persone con in mano o un libro o una macchina fotografica.
Non siamo gli unici italiani sulla nave. C’è anche una coppia di signori Lucca, lui un sosia un po’ più anziano di Sean Connery (solo per la barba completamente bianca). Facciamo la loro conoscenza a metà mattina e ci conversiamo amabilmente fino all’ora di pranzo. Sono in viaggio per due mesi tra Cile ed Argentina, affidandosi per lo più a mezzi di trasporto pubblici. Sono proprio una bella coppia ed è invidiabile l’energia e la voglia di scoprire il mondo che ancora li guida.
La meta più importante della giornata è Puerto Eden, un villaggio kawéskar che sorge all’interno del Parco Bernardo O’Higgins. Ci sono ancora sette famiglie di sangue puro kawéskar a Puerto Eden, più altre persone di sangue misto. In totale sono circa 150 abitanti.
Puerto Eden è arroccato su una piccola penisola dell’Isola di Wellington, la terza più grande del Cile (dopo la Terra del Fuoco e Chiloé). Le casette di lamiere corrono tutte lungo la costa e sono collegate tra loro da una lunga passerella di legno, unica via di comunicazione terrestre del villaggio.
Il tempo a nostra disposizione non è molto (circa un’ora a mezza) ma siamo già fortunati a poter vedere un posto come questo (l’unico modo è proprio attraverso la Navimag; per scendere abbiamo dovuto pagare un extra di 3.000 pesos). Il fascino del posto lo si percepisce completamente quando ci si spinge fino al punto più alto della piccola penisola: al di sotto le basse case con i piedi bagnati dalle chete acque scure, al di sopra scoscese ed inospitali montagne, il tutto avvolto nel silenzio più assoluto. Gli unici suoni sono il canto degli uccelli e il fruscio del vento. Un’esperienza indimenticabile.
Ripartiti verso sud è già quasi ora di cena, ma prima di questa ci aspetta l’immancabile “Happy sour”. Stare seduto su uno degli sgabelli del bar a bere il pisco-sour, mentre lo sguardo vaga sulle montagne che ci scorrono a lato, è uno dei momenti più belli della traversata.
Dopo cena Nicole e Cilde organizzano una serata con il bingo (il “Bingo migliore della Patagonia”). La fortuna ci è avversa quasi fino alla fine, quando per concludere le due animatrici propongono di fare una mano al contrario, la mano dei perdenti (se esce il tuo numero sei eliminato). Dopo una decina di pescaggi, viene eletto il “Miglior perdente della Patagonia” proprio il caro Seba (che si porta via una buona bottiglia di vino).
La serata termina nel pub con svariati balli e molto alcol: Hilde e Lippifi dimostrano a tutti come si balla latino-americano, io vengo letteralmente assalito da una americana un po’ brilla che vuole a tutti i costi ballare con me, Seba fa amicizia con un anziano tedesco (il secondo nella gara dei perdenti) ed insieme si scolano la bottiglia di vino appena vinta.
Giovedì 20 gennaio – Arrivo a Puerto Natales
Mi alzo presto, a dispetto della notte di bagordi, perché voglio essere a prua quando attraverseremo il Passo White, il punto più stretto di tutto il percorso (solo 80 metri). La giornata è splendida, anche se durante la notte è piovuto. Alcune nuvole danzano rapide nel cielo, sospinte da un vento sempre sostenuto: “se non piove o non tira vento, non siamo nella Patagonia cilena”.
Il Passo White si svela solo all’ultimo, poco prima sembra di andare incontro ad una sola costa compatta. Le coste si dividono all’improvviso e sono così vicine che si possono contare gli alberi ad uno ad uno; gruppi di foche nuotano presso le rocce che si inabissano nelle fredde acque del canale, mentre alcune anatre vaporiere scappano rapide dalle nave con il loro sbattere frenetico d’ali.
È un piacere rimanere a prua, dove, visto l’andamento lento della nave, il vento non è fortissimo, ad ammirare le coste allontanarsi, ridandoci un po’ di respiro. Ogni tanto ad est si vede brillare il ghiaccio del Campo de Hielo Sur, il più grande ghiacciaio continentale del mondo (cioè escluso l’Antartide, la Groenlandia e tutte le isole del Canada, suppongo), un deserto di ghiaccio che era considerato una vera divinità per i kawéskar, per loro un limite invalicabile per l’espansione nell’entroterra. Quando un braccio del ghiacciaio (ventisquiero) termina in mare, spesso imbianca le sue acque conferendo loro un color latteo particolare e suggestivo (“il latte del ghiacciaio”).
Arriviamo a Puerto Natales intorno alle undici, in perfetto orario. La città mi pare un insieme di case basse spalmate su una vasta collina spoglia di vegetazione. L’acqua della baia è di un color azzurro intenso e s’accompagna perfettamente alle montagne innevate che si stagliano all’orizzonte.
Al primo internet point scopriamo che le due notti alla Posada Rio Serrano sono confermate. Il posto è forse un po’ troppo a sud rispetto alle attrattive principale del parco, ma ormai i giochi sono fatti. Hilde è ancora con noi, in parte ammaliata dalla frizzante vitalità italiana, in parte bisognosa di maggior sicurezza per i giorni di trekking. È così che tutti insieme decidiamo di prenotare un’ulteriore notte al Rifugio Cileno per andare a vedere le Torri (il Parco delle Torri del Paine è frequentatissimo; se si vuole trovare un posto da dormire in rifugio è meglio sempre prendersi per tempo; la prenotazione da Puerto Natales è semplice ed efficiente; il prezzo di una notte in rifugio è molto alto rispetto agli standard cileni, circa 25 dollari americani, che diventano di più se si vuole pagare in pesos... il solo pensiero di questo fatto mi fa imbestialire).
Troviamo da dormire a Puerto Natales all’Hostal Paulete (4.000 pesos, meno di sei euro, con colazione inclusa), un semplice alloggio a conduzione famigliare. A disposizione c’è tutta la cucina, quindi organizziamo una bella pasta in onore di Hilde. Tra la bottiglia di vino che la coppia di Lucca ci ha offerto (che gentili) e il Liquor de oro di Puerto Montt, la cena scorre allegra e spensierata. A farci compagnia, solo nel bere però, c’è anche il padrone di casa, un omaccione con un paio di baffi brizzolati e la socializzazione facile ed istintiva. Sia Lippifi che Seba sono molto colpiti dalla gentilezza che i cileni esprimono.