Viaggio alla fine del mondo

Dal 13 gennaio al 14 febbraio 2005

di Carlo Camarotto

Confine
Un casetta sperduta
Il fronte sud del Perito Moreno
Il fronte nord Perito Moreno
Il Perito Moreno
Il Perito Moreno dall'aereo
Giovanni
Ushuaia e l'Isola Navarino

Tappa numero 4, Dal 25 al 29 gennaio 2005

El Perito Moreno y Joe
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Martedì 25 gennaio – Ingresso in Argentina

Alle nove noi partiamo per El Calafate, Hilde un’ora dopo per Punta Arenas. In un qualche modo ci incontreremo nuovamente ad Ushuaia, quindi è solo un arrivederci. È comunque forse già giunto il momento che le nostre strade si riapproprino delle loro individualità.

Per arrivare a El Calafate bisogna dirigersi verso nord fino a Villa Cerro Castillo, punto di confine cileno. Oltre la sbarra bianca e rossa che delimita il confine del Paese c’è solo erba secca spazzata dal vento e polvere che turbina irrequieta nell’aria. Il timbro che ci imprimono nel passaporto pare un lasciapassare per il vuoto. Tra il confine cileno e quello argentino ci sono oltre tre chilometri di steppa patagonica, una terra franca veramente di nessuno.

La strada per El Calafate prosegue su una via sterrata fino ad incrociare la statale asfaltata che arriva da Rio Gallegos. Anche se non cambiano gli scenari oltre i finestrini, il viaggio diventa certamente più comodo.

El Calafate è una piccola cittadina turistica che sorge sulle sponde del grande Lago Argentino. È un insieme di case in muratura di ottima fattura, hotel che assomigliano ad uno chalet di Cortina e le solite case dal tetto di lamiera. Le rive del lago a lato del villaggio sono aride (piovono solo 300 mm l’anno di pioggia).

Alla stazione delle corriere il numero delle persone pronte a proporti un posto da dormire è enorme: giovani, donne e bambini indifferentemente. Ci facciamo convincere ad accettare un posto all’Hostel Dos Pinos (15 pesos argentini, circa 4 euro). La stazione si trova più in alto rispetto al centro del paese e per arrivarci bisogna percorrere una scalinata o una strada molto pendente. Ogni procacciatore garantisce di portarti alla locazione in macchina senza nessun sovrapprezzo.

All’Hostal Dos Pinos ci sistemano in una cabaña in legno da quattro posti, carina e riservata. L’Hostal è abbastanza grande e vario, purtroppo privo di quella atmosfera familiare che a me piace tanto. La vera nota dolente sono però i bagni: luridi.

La pianta della città è tipicamente a quadre, con la via principale che corre immediatamente a sud della collina della stazione delle corriere. È un’autentica corrida per turisti, con ristoranti che si alternano ad agenzie turistiche e a negozi di souvenir.

Il pomeriggio lo dedichiamo al dolce far niente: prolungata sosta in un bar sulla via principale (2 pesos per una empanada di carne, circa mezzo euro), internet e giro per i vari negozi in vista di qualche acquisto.

È la nostra prima sera in terra argentina e tutti e tre non vediamo l’ora di assaggiare la famosa carne di queste lande. Il Bife de lomo (un filetto di carne, solitamente spesso quattro-cinque centimetri, talmente tenero da sciogliersi in bocca), su suggerimento di Lippifi che l’ha già mangiato a Roma, è il piatto ordinato da tutti e tre (insieme ad una buonissima bottiglia di vino, un malbec della zona di Mendoza, e tre pisco-sour abbiamo pagato in tutto circa 40 euro).

È già passata da un po’ la mezzanotte quando rientriamo in ostello letteralmente gonfi di piacere.

Mercoledì 26 gennaio – Il Perito Moreno

Oggi ci aspetta il Perito Moreno, il Signore di Ghiaccio che mantiene da solo l’intera El Calafate. Il pulmino del tour che abbiamo prenotato il giorno prima ci viene a prendere direttamente all’ostello, come è consuetudine, alle otto e un quarto. Siamo più di dieci persone: un gruppo di signori francesi con una guida cilena, due coppie d’australiani e qualche giapponese. La nostra guida si chiama Cecilia, capelli biondissimi e simpatia tipicamente argentina. La giornata è splendente, anche se alcune nuvole si accavallano veloci nel cielo.

Alcuni tour, come il nostro, invece di percorrere la strada diretta per il Parco Los Glaciares scelgono per l’andata una strada alternativa, uno sterrato patagonico che corre lontano dalle rive del lago, pochissimo frequentato. Abbiamo così la possibilità di fermarci in assoluta calma per osservare la flora, con l’immancabile calafate (una Berberis dai frutti violacei da cui deriva il nome al paese) e la fauna (vediamo alcuni caranchos, un bel rapace diurno detto anche caracara, e svariate lepri). Ci si ricongiunge alla strada asfaltata principale solo dopo aver passato i terreni di una estancia, la Estancia Anita (famosa perché fu teatro di una feroce repressione militare dei moti dei lavoratori negli anni ’20).

L’ingresso al parco è molto costoso se confrontato con i prezzi degli altri servizi (30 pesos, circa 8 euro). Nei pressi del ghiacciaio è possibile prendere una barca per una navigata sul lago di circa un’ora. Ci sono a disposizione due opzioni: navigare nei pressi della parete sud (25 pesos) o nei pressi della parete nord (21 pesos). Cecilia consiglia vivamente quest’ultima perché la parete nord è più lunga ed alta. La parte centrale del ghiacciaio arriva quasi a toccare la piccola penisola che gli si pone di fronte dall’altro lato del lago, chiudendo così praticamente il passaggio tra la parte sud e quella nord dello stesso. In realtà manca ancora una decina di metri alla completa chiusura del passaggio, ma questo stretto braccio di lago è tormentato dalla continua caduta di pezzi di ghiaccio dalle alti pareti del fronte del ghiacciaio. Fino alla fine degli anni ’80 ogni sette anni il passaggio si chiudeva creando una diga naturale all’interno del lago; con il crescere del dislivello tra i due bracci, cresceva anche la pressione delle acque che portava alla rottura finale della diga: chi ha visto dal vivo il momento della rottura lo ha definito come un momento apocalittico indimenticabile (l’evento si è verificato nuovamente nell’inverno del 2004, dopo 16 anni dalla volta precedente, e il 13 marzo 2006 alle 22.55 ora locale).

Seguiamo il consiglio di Cecilia e ci imbarchiamo con un altro centinaio di turisti sulla barca per vedere da vicino la parete nord del ghiacciaio. L’acqua del lago, con una temperatura variabile tra i due e i quattro gradi, è di colore latteo con riflessi turchesi, gli stessi che si notano sull’impressionante parete di ghiaccio che ci si para di fronte. È alta quasi sessanta metri e la sommità è un continuo susseguirsi di creste acuminate che svettano alte nel cielo. Ogni tanto si ode un profondo ruggito, il ghiaccio che cade da quelle altezze direttamente nell’acqua. Le onde seguono d’appresso il tonfo, facendo oscillare la barca, comunque sempre pronta a mettersi nella posizione migliore per riceverle.

Percorriamo la parete nord fino al suo termine, dove si appoggia al versante della montagna entrando in frizione con la nuda roccia. Alberi verde scuro crescono appena sopra i ghiacci e in questi sembrano rispecchiarsi. Sempre lentamente torniamo sui nostri passi, circumnavigando gli eventuali iceberg che galleggiano nei pressi del fronte del ghiacciaio, e ci riappropriamo della terra.

Da uno spiazzo poco più indietro lungo la strada partono le passerelle che conducano di fronte alla parte centrale del ghiacciaio. Le terrazze panoramiche sono due, una proprio in prossimità del fronte, l’altra posta più in alto, e per questo più lontana, ma che offre una miglior vista d’insieme. All’inizio delle passerelle c’è un piccolo posto di ristoro che offre panini e bibite (i prezzi sono piuttosto alti).

La calca di persone assiepata nelle terrazze è notevole, di tutte le nazionalità, di tutte le età, di tutti i tipi di turista. Seba si è già lamentato a El Calafate della “turisticità” della zona, fatto evidenziato dalla massiccia presenza di italiani. Se c’è un cosa che ho notato nei miei viaggi è che gli italiani si incontrano maggiormente nei luoghi turistici, cioè quelli più conformi alle loro richieste di agio: viaggiatori italiani se ne incontrano pochi, turisti italiani se ne incontrano purtroppo anche troppi. È successo proprio di fronte ad un boccale di birra, seduto ad un qualche bancone in un qualche giorno imprecisato che ho definito la differenza tra queste due categorie. Il viaggiatore si reca in un posto con la “pretesa” di vivere la vita caratteristica di quel posto, un turista vuole invece solo vivere nello stesso modo in cui vive a casa, con gli stessi agi (se non maggiori). Ho usato il termine “pretesa” quando ho parlato del viaggiatore perché di questo si tratta: incontrare in Patagonia la stessa vita che incontro quotidianamente in Italia è un fatto per me demoralizzante.

Comunque sia, ho escluso per quanto possibile le presenze estranee ed infastidenti delle famigliole urlanti per rimanere solo con Lui, il Signore di Ghiaccio vecchio di millenni. Visto così da vicino il suo fascino è ancora maggiore, ma sono tutti i sensi a partecipare alla sua ammirazione: gli schianti delle pareti ghiacciate rimbombano con inaudita potenza tra le pareti della stretta valle e ti scuotono di piacere. Una esperienza bellissima.

Tornati a El Calafate, perseguiamo la strada del piacere con una cena a base di asado de cordero (grigliata d’agnello) e vino di Mendoza.

Giovedì 27 gennaio – Arrivo alla fine del Mondo

Non avendo trovato posti nelle poche corriere che da Rio Gallegos portano ad Ushuaia, abbiamo deciso di arrivare in Terra del Fuoco in aereo. Il sovrapprezzo è quasi irrisorio per le nostre tasche (60 pesos, circa 15 euro) e si risparmiano più di dieci ore di viaggio.

Partiamo da El Calafate per Rio Gallegos che la mattinata è quasi al termine. Il paesaggio che scorre fuori dal finestrino rimane praticamente inalterato fino a destinazione: polverose piane steppiche di ciuffi d’erba color marrone chiaro in cui le pecore si mimetizzano alla perfezione (per chi può interessare, il carico di bestiame ovino in Patagonia è di una pecora ogni quattro ettari).

L’aeroporto di Rio Gallegos sorge proprio lunga la strada che arriva dall’interno. È una struttura costruita di recente, piccola ma carina: un edificio moderno in mezzo all’erba e al vento.

L’attesa vola rapida tra qualche birra e delle ottime empanadas di carne, poi dobbiamo affrontare la partenza d’aereo più spericolata della nostra vita (la virata inizia appena le ruote si staccano da terra). In meno di quaranta minuti siamo comunque salvi sopra Ushuaia.

Qui la temperatura è abbastanza calda, solo un attimo fresca  (certamente più calda di quanto mi aspettassi). La città sorge su una baia del Canale di Beagle ed è subito chiusa a nord da imponenti montagne ancora picchiettate di bianco. La linea verde della vegetazione di lenga (un faggio australe) termina in modo netto a circa metà montagna, lasciando libero spazio alle rocce scure.

Per arrivare in centro il modo più veloce e conveniente è prendere una taxi (7 pesos, circa due euro). Qui veniamo a conoscenza che Giovanni e Hilde si sono già conosciuti sulla corriera da Punta Arenas e ci aspettano al Mochilero, un ostello del centro. I due hanno preso “la casita”, una piccola dependance dell’ostello in cui c’è una stanza con quattro letti, una cucina ed un bagno (120 pesos, 30 euro). Questa notte Joe non dormirà ancora con noi. È comunque bello ritrovare il suo eterno sorriso. Gli incontri in viaggio hanno sempre qualcosa di speciale: sono tanto speciali quanto sono apparentemente distaccati gli addii.

Al momento del nostro incontro sono ormai le nove di sera e siamo tutti parecchio affamati. Lungo Avenida San Martin, la principale via di Ushuaia, si alternano vari ristoranti, molti dei quali offrono l’opzione del Tenedor Libre (significa che per il prezzo esposto si può mangiare senza limite di quantità, se non quello dettato dal proprio stomaco; le bibite si pagano a parte). In uno dei migliori, alla Rueda, un pasto costa 20 pesos (5 euro): il cibo è di buona qualità e non finisce veramente mai.

Venerdì 28 gennaio – Camminata al Glaciar Martial

Le fatiche dei giorni precedenti incombono ancora su tutti noi. Nessuno dei quattro reduci del Paine sembra aver voglia di fare alcunché ed è per questo che Giovanni, abitualmente uno zombie alla mattina, pare il più energico e voglioso.

La giornata è splendida, calda e con un sole brillante che ti invoglia ad assaggiarne i raggi. Non ci vuole molto a rendersi conto che tutte le persone che incrociamo parlano del clima: commentano tutte la bellezza di quel giorno solare (si superano i 20 gradi).

Non sapendo esattamente cosa fare, dopo una rilassante colazione in un bar del centro ci rechiamo all’Ufficio Turistico, anch’esso in Avenida San Martin. I giovani ragazzi assiepati dall’altro lato del bancone sono gentilissimi e disponibili a risolvere qualsiasi tua richiesta. Dopo esserci consultati con loro, decidiamo di dividerci.

Io, Joe e Hilde abbiamo ancora un briciolo di voglia di camminare e le montagne sopra Ushuaia ci sembrano una buona meta (punteremo al Glaciar Martial). Seba e Lippifi non ne vogliono sapere di faticare ancora e prenotano un’escursione in barca lungo il Canal Beagle con meta una pinguinera (130 pesos, 33 euro).

Se si vuole raggiungere il Glaciar Martial si trovano molti pulmini , disposti un po’ ovunque lungo la strada che costeggia la riva della baia, che possono accompagnarti fino alla base di una pista da sci posta a sei chilometri dal centro. La strada è tranquillamente percorribile a piedi, anche se sempre in salita, ma il passaggio costa solo 5 pesos (poco più di un euro). Dalla base della pista si deve camminare lungo la stessa per circa un’ora (in alternativa c’è anche una seggiovia) e poi proseguire lungo un sentiero ben tracciato che giunge fino alla base del piccolo ghiacciaio. La salita non è impegnativa, ma si arriva comunque piuttosto in alto sopra la città. Da lassù si gode di un’ottima vista sulla baia di Ushuaia e sull’isola di Navarino (che è cilena) che sorge dall’altro lato del Canale di Beagle. Si giunge ben sopra il limite della vegetazione arborea, che qui coincide pressappoco con il limite della stessa vegetazione.

Nel tempo della salita (più o meno un’ora e mezza) grosse nuvole provenienti da nord oscurano parzialmente il sole, facendo abbassare di molto la temperatura. Mentre scendiamo verso valle inizia perfino a piovere, per fortuna solo una pioggerella fine per nulla fastidiosa. L’autista del pulmino ci aspetta tranquillo per il ritorno appoggiato indolente al suo mezzo. È un tipo simpaticissimo con la gentilezza tipica dell’argentino medio; ci consiglia di andare a mangiare al Mostachio. Intanto la temperatura è crollata anche in centro città, piombando al di sotto di dieci gradi, e spira un vento freddo dalle montagne.

Seba e Lippifi hanno visto un sacco di pinguini e sono passati davanti a Puerto Williams, il centro abitato più a sud del mondo (praticamente costruito dai cileni per potersi vantare di questo; gli argentini affermano invece che la città più a sud del mondo è Ushuaia perché Puerto Williams non può essere considerata una città… troppo piccola).

Al Mostachio si mangia molto bene ed il servizio è ottimo; oltre ad un delicato Bife de Lomo, sono appetitose anche le cozze (mejillones).

Per concludere la serata, ma anche per salutare Hilde che l’indomani partirà verso nord, concludiamo la serata in un pub irlandese privo di Guinnes (l’unico al mondo, probabilmente).

Nota linguistica:

Gli argentini hanno un modo tutto loro di pronunciare alcune lettere. Sia la ll che la y sono pronunciate in modo differente dal comune spagnolo, sono trasformate entrambe in un italiano “sci”. Esempi: la parola amarillo (giallo) in spagnolo si pronuncia più o meno “amariglio”, in argentino invece si pronuncia “amariscio”. La parola yo (io), in spagnolo è “ió”, in argentino è “sció”. Alla fine il parlare argentino è tutto uno “sciósció”, inizialmente fuorviante ma di indubbio fascino.

Sabato 29 gennaio – Nausea

La giornata è ancora fredda ed il cielo è parzialmente coperto da nuvole grigie. Probabilmente il giorno prima ho preso un colpo di vento, oppure ho mangiato qualcosa che non andava, ma sono preda di una strana nausea fin dal risveglio.

Non sono comunque l’unico ad iniziare stancamente la giornata, visto che tutti si trascinano in avanti con poca voglia di fare, stato d’animo accentuato anche dal clima inclemente.

Arriviamo così al momento dell’addio di Hilde, verso mezzogiorno, senza aver fatto praticamente nulla. Con Hilde abbiamo condiviso davvero molto, per questo il commiato è più un arrivederci che un addio: ci rivedremo sicuramente in Europa.

Con il passare delle ore il malessere va via via aumentando, togliendomi così tutta la residua vitalità. Le ultime energie le voglio spendere per andare a vedere il Museo della fine del mondo, proprio in centro al paese. Il museo parla un po’ della storia e dell’ambiente della Terra del Fuoco, il tutto in un paio di stanze ben attrezzate. Purtroppo, completamente nauseato, non me lo godo affatto. Saluto i miei tres amigos e torno svelto all’ostello dove cerco di affondare il malessere in una sana dormita. Rimango in coma fino ad oltre le sette, ora alla quale gli altri vengono a vedere come sto.

Per l’ora di cena comincio comunque a sentirmi meglio e l’idea di mangiare si fa nuovamente allettante. È l’ultima serata con Seba e Lippifi: l’indomani partiranno per Punta Arenas e da lì in aereo verso Santiago. Il loro viaggio sta per concludersi e dobbiamo in un qualche modo festeggiare. Seba è talmente euforico da decidere di offrire tutta la cena, che si svolge allegra di nuovo al Mostachio.