Viaggio alla fine del mondo

Dal 13 gennaio al 14 febbraio 2005

di Carlo Camarotto

Bosco nella Terra del Fuoco
Terra del Fuoco
La Patagonia argentina
Leoni marini 1
Leoni marini 2
El zorro gris

Tappa numero 5, Dal 30 gennaio al 3 febbraio 2005

Dalla Terra del Fuoco alla Penisola di Valdes
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Domenica 30 gennaio – Laguna Esmeralda

Mi sveglio solo per un attimo quando Lippifi sta per uscire dalla stanza, un saluto rapido velato dal sonno e poi di nuovo il nulla. Così do l’addio ai miei due compagni di viaggio: spero sia stata per loro una bella esperienza.

Rimasti in due non possiamo più permetterci la casita, così optiamo per cambiare direttamente l’ostello. A due passi dal Mochilero c’è l’ostello Cruz del Sur, di proprietà di un ragazzo italiano. Luca ha la nostra età e dal 2002 si è trasferito a vivere ad Ushuaia. È simpatico e disponibile, anche se dall’aria un po’ persa, ed ha viaggiato quasi tutto il mondo prima di sistemarsi quaggiù. Foto tratte dai suoi tanti viaggi sono appese ovunque alle pareti dell’ostello. L’atmosfera è quella tipica di un backpacker, pieno di persone di tutto il mondo, caotica ma piacevole.

Ripresomi dal malessere del giorno precedente, ho ancora voglia di camminare alla scoperta di qualche bellezza naturale. Tra le varie possibilità scegliamo di andare alla Laguna Esmeralda, un piccolo laghetto qualche chilometro a nord di Ushuaia, appena dentro le montagne. La giornata è decisamente migliore del giorno prima, con il sole che gioca un po’ a nascondino dietro delle nuvole isolate e la temperatura sufficientemente alta.

Davanti al mercato artigianale si può prendere un pulmino che ti conduce fino al punto d’inizio delle breve camminata, una scuola-allevamento di cani da slitta, per 15 pesos. Il viaggio dura circa venti minuti e bisogna uscire dall’area urbana di Ushuaia e penetrare all’interno delle Ande Fuegine. I boschi che si intravedono dalla strada ammantano i ripidi versanti delle montagne come una compatta massa verde scuro che termina bruscamente al limite superiore della vegetazione, più o meno a tre quarti d’altitudine.

L’allevamento di cani si trova alla fine di una stradina ciottolosa che diparte dalla strada principale asfaltata che conduce a nord fino al lago Fagnano e poi verso Rio Grande. Ci sono un paio di costruzioni in legno stile alpino di ottima fattura che si affacciano su un bel prato inglese ben curato. Più in la, oltre una bassa recinzione di legno, ci sono circa ottanta cani che abbaiano e latrano tutti insieme con cadenza regolare. Stiamo camminando nel bosco, una faggeta australe dall’atmosfera carica di magia, quando sentiamo la prima latrata di gruppo. Non è difficile immaginare di essere prede designate di un pericoloso branco di lupi.

Non abbiamo ben chiaro il percorso da seguire per raggiungere la meta, così inizialmente camminiamo a caso seguendo per istinto le vie che ci sembrano più sensate. A breve sbuchiamo in un’ampia piana erbosa percorsa al centro da un rivolo d’acqua. Il paesaggio che ci circonda è stupendo e sembra veramente poco intaccato dalla presenza dell’uomo. Superato un piccolo ponte in legno entriamo all’interno di un bosco di faggio più maturo del precedente. Alcune persone ci stanno venendo incontro: aspettiamo per farci dare qualche utile indicazione. Una ragazza, dopo averci spiegato a sommi capi la via corretta, ci omaggia di un foglietto di carta con uno schizzo del percorso (una mapita… gli argentina amano usare i diminutivi).

Laguna Esmeralda è un piccolo ma splendido laghetto che riflette nelle sue acque verdi appena increspate dal vento le montagne che lo cingono su tre lati. I lenga crescono fino sulle rive nei lati ad est e ovest, mentre a nord una piana erbosa lievemente inclinata porta fin sotto il versante della montagna, sulla cui cima risplende come una gemma un ghiacciaio. Nel lato sud, quello da cui siamo giunti, una morena crea una diga naturale che trattiene le acque del laghetto. Ci sono parecchie persone a godersi la calma del posto (comunque non troppe) e sembrano quasi tutte del posto: evidentemente è una bella gita fuori porta per gli abitanti di Ushuaia.

Tornando indietro per un’altra via, dobbiamo affrontare i pantani insidiosi delle torbiere di sfagni. Come guidati da Golum ci addentriamo sicuri tra le acque seguendo nascosti sentieri sicuri, arrivando a destinazione sani e salvi (cioè asciutti). È l’ora della pappa per i cani, che iniziano poco dopo il nostro arrivo ad abbaiare come forsennati. Il frastuono è incredibile, da incutere un vero timore. Il pulmino torna a riprenderci puntualissimo.

Anche se affamati, dobbiamo aspettare circa le otto e mezza per l’apertura dei ristoranti (in Argentina si mangia piuttosto tardi, nello stile spagnolo). Di fronte al tenedor libre ci abbuffiamo come d’abitudine, uscendo dal locale con la pancia rigonfia di cibo.

Lunedì 31 gennaio – Inizia la risalita

Alle cinque e mezza parte la prima e unica corriera per Rio Gallegos. L’arrivo del fine settimana ci ha preso un po’ alla sprovvista e non abbiamo fatto in tempo a prenotare due posti per il continente. Decidiamo ugualmente di presentarci alla partenza sperando in un qualche posto libero. Purtroppo la corriera è stracolma.

Siamo già d’accordo con Luca che in caso di insuccesso saremo tornati a dormire, e così facciamo. Alle nove sono io ad alzarmi ed a vagare per Ushuaia alla ricerca di un volo aereo per Rio Gallegos: trovo due posti liberi in un volo della Lade in partenza nel primo pomeriggio.

Gli ultimi sgoccioli della Città alla fine del Mondo li passiamo ripetendo alcuni gesti consolidati, quasi delle piccole tradizioni: colazione a base di cornetti nella cafeteria all’angolo di Avenida San Martin e 25 de Mayo e visita all’internet point che gli si para quasi di fronte. In questo posto siamo ormai di casa e Giovanni ha stretto con il padrone una simpatica amicizia… ogni volta che si incontrano iniziano a ridere e non la finiscono più di prendersi in giro a vicenda.

Salutiamo definitivamente Ushuaia dal finestrino dell’aereo, ammirando per l’ultima volta questo piccolo gioiello bianco incastonato in mezzo al verde dei lenga ed il blu intenso del Canale di Beagle. Prima di essere assorbiti dalle nuvole abbiamo modo anche di osservare dall’alto la distesa delle Ande Fuegine fino al Lago Fagnano, un insieme remoto di creste innevate ricche di fascino.

Riapparsi oltre il manto di nubi, siamo in breve sopra le steppe aride della regione di Santa Cruz. Qui il cielo è pulito e di un azzurro intensissimo; spira solo un costante vento da ovest, comunque non esagerato (normalmente è ben più forte, almeno così ci hanno detto), che ci rinfresca la pelle scottata da un sole parecchio aggressivo.

La stazione delle corriere si trova appena al di fuori del centro città, dallo stesso lato dell’aeroporto (conviene comunque prendere un taxi per passare dall’una all’altra). È una piccola struttura sporca e confusionaria, ma la gente che ci lavora ha la gentilezza e la semplicità caratteristica dei Patagoni. Lasciamo gli zaini in custodia in un ufficio della stazione e, visto che la corriera per Puerto Madryn partirà solo in serata, ci dirigiamo a piedi verso il centro per vedere cosa offre.

All’inizio le strade sono desolatamente vuote e l’aridità evidenziata dalla polvere che turbina incessante per le strade conferisce a Rio Gallegos un’atmosfera surreale, quasi fantasma. I soliti cani si muovono raminghi in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, ma le immondizie sono posizionate in alti trespoli di ferro fuori dalla loro portata (simili trespoli si vedono in quasi tutte le città del sud dell’Argentina… ho dovuto vedere lo sguardo triste di un cane che ci passava a fianco per capire il loro scopo). Macchine di ogni tipo e stato rombano ogni tanto tra le strade perfettamente a squadra, mentre il sole infuoca l’asfalto.

Giunti in centro (fondamentalmente due vie tra loro perpendicolari) iniziamo ad incrociare sempre più persone, fino ad arrivare in una via pedonale ricca di passanti. La maggioranza sono giovani, quasi tutti sotto i venti anni.

L’entrata gratuita al Museo Regional Padre Manuel Jesús Molina (un prete famoso della zona) non passa inosservata e così decidiamo di dedicare una buona parte del pomeriggio tra reperti di geologia, paleontologia, arti e scienza varia. Molto interessante, per la bellezza di alcune immagini, è la mostra fotografica dedicata ad una famiglia di fotografi locali di origine tedesca.

Di ritorno alla stazione delle corriere, il tempo passa tra le simpatiche molestie di Giovanni alla ragazza dell’oficina che ci ha tenuto gli zaini (per qualche momento Joe si è sostituito a lei con i clienti) e una cena al sacco consumata seduti a terra nel retro della stazione.

Il viaggio durerà 13 ore, il primo vero lungo passo verso il nord. La compagnia trasportatrice, la Tac, non è un granché: la corriere è in condizioni mediocri ed il cibo offerto è appena passabile.

Martedì 01 febbraio – Puerto Madryn

Non ho dormito male, ma dormire in viaggio è sempre appena sufficiente per non crollare dal sonno il giorno seguente, non certo per rinvigorire l’animo. Joe invece non se l’è passata troppo bene a causa dell’aria condizionata sparata a mille.

Scendo per la prima volta a sgranchirmi le gambe a Comodoro Rivadavia quando il mattino è appena iniziato. Il cielo è sgombro di nubi ed un lieve venticello spira verso il mare: fa già caldo.

Arriviamo a destinazione poco oltre mezzogiorno, dopo aver percorso per un buon tratto la statale 3 (Buenos Aires-Ushuaia), una strada costiera che corre tra terre aride in cui il color marron chiaro della steppa cespugliosa ben si sposa con l’intenso azzurro del cielo.

Puerto Madryn sorge sulle rive del Golfo Nuevo, il golfo a sud della Penisola di Valdes, l’ultima propaggine della Patagonia verso nord-est. La Penisola, il motivo della nostro arrivo fin quassù, è considerata Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, un habitat naturale per una fauna piuttosto variegata, dai vari animali marini, quali le balene (avvistabili purtroppo solo in inverno), i leoni marini (solo quelli da un pelo), gli elefanti marini, le orche (non facilmente avvistabili) e i pinguini, a quelli terrestri, quali il guanaco, l’armadillo, il mara (una sorta di lepre), la volpe e il nandù (un uccello non volatore).

Ma Puerto Madryn non è solo la porta d’accesso alla Penisola, è anche un nuovo centro turistico balneare che sta riscuotendo sempre maggior successo per gli argentini (oltre ad essere da sempre un centro industriale di primaria importanza): è la città in Argentina con il maggior tasso di crescita. Si possono effettuare da qui altri tour a sfondo naturalistico, come la visita alla pinguinera di Punta Tombo (più o meno a 200 km verso sud), considerata la più grande dell’intero Sud America (il costo si aggira intorno ai 100 pesos).

Stranamente, appena scesi dalla corriera non c’è nessun procacciatore d’affari pronto ad accoglierci. Il terminal, pur abbastanza affollato, sembra essere immerso in un’atmosfera sonnolenta. Il sole batte all’esterno piuttosto forte e l’aria calda che si respira ci indica chiaramente che abbiamo abbandonato il clima freddo del profondo sud.

Troviamo da dormire nelle vicinanze del terminal all’ostello Santa Rita, una bella casetta con camerate non molto ampie ma dall’atmosfera piacevole. Le camerate sono occupate dagli zaini di molti mochileros (backpackers in spagnolo), ma anche di molti ragazzi argentini in vacanza. Al nostro arrivo, comunque, nell’ostello ci sono veramente poche persone, visto che sono tutti in spiaggia o in giro per la Penisola di Valdes.

Il lungomare pedonale di Puerto Madryn è gradevole da percorrere: si respira a grandi boccate l’aria di vacanza al mare. La spiaggia è larga al massimo una trentina di metri ed è sempre battuta da una brezza leggera che rinfresca la pelle arsa dal sole. Non possiamo esimerci dal distenderci sulla sabbia per godere al massimo di questo confortante calore ritrovato. Con l’avvicinarsi del tramonto, però, la temperatura va via via abbassandosi, trasformando la calda giornata in una fresca serata.

Prima di uscire per cena conosciamo vari personaggi all’ostello. Tra questi Michael, un americano senza vera fissa dimora, è di netto il più simpatico. Di chiara origine italiana (suo nonno era di Casarsa, una città vicina a Sacile, la mia città natale), si era spostato fin da piccolo in giro per il mondo per seguire il lavoro del padre. È per questo che è uno di quei tipi che non ha un luogo di riferimento da chiamare casa. Parla uno spagnolo più che accettabile visto che da un anno è stanziato a Cordoba: era venuto in Argentina per imparare la lingua e poi non è più riuscito ad andarsene.

Tra le strade di Puerto Madryn c’è da annotare la presenza di un bel mercato dell’artigianato che si materializza nella piazza principale dal tardo pomeriggio. Le bancarelle sono per lo più di giovani che mettono in mostra vari oggetti fatti da loro. C’è un po’ di tutto, anche cose davvero interessanti.

Mercoledì 02 febbraio – La Penisola di Valdes

Sveglia presto e subito fuori in strada ad aspettare il pulmino. A farci da guida c’è Laura, una giovane del posto che ci parlerà indifferentemente in spagnolo e in inglese. Appena partiti è già lì subito a parlarci della città e della regione che la ospita. Con noi ci sono tre coppie d’olandesi, un francese ed una coppia d’argentini. I primi sono altrettanto ciarlieri e ci inondano i timpani con il suono gutturale del loro idioma per tutto il tempo del viaggio.

La penisola di Valdes è collegata alla terraferma da un piccolo istmo, un tratto di steppa lungo oltre cinquanta chilometri e largo al massimo una decina. Dalla strada a volte è possibile vedere entrambi i golfi che lo delimitano; quello a nord, più piccolo e con le acque più calde, è praticamente chiuso verso il mare: questo limita il ricircolo delle acque e lo rende più vulnerabile all’inquinamento, da questo il motivo di dichiararlo Riserva Naturale Protetta per tutelarlo più efficacemente; quella a sud intercetta le correnti fredde provenienti da sud ed è assai più esteso: oltre a Puerto Madryn ospita un altro piccolo paese posto direttamente sulla penisola, Punta Piramides.

La penisola è solo leggermente più umida del continente, circa 300 mm all’anno di precipitazioni (più o meno come la più secca zona in Italia), ed è una piana di arbusti, cespugli erbosi e polvere. Svariate pecore pascolano stanche sotto il cielo infuocato, ma in confronto alla superficie a disposizione sono talmente poche da perdersi tra l’erba secca, diventando praticamente invisibili. Gli ovini convivono con molti animali selvatici, nessuno dei quali sfugge al nostro sguardo dai finestrini del pulmino.

Il tour prevede una lunga corsa per raggiungere tre punti di avvistamento di animali marini posti ai capi della penisola (in tutto oltre 400 chilometri di strada sterrata). Nel primo si possono ammirare i leoni marini (quelli da un pelo… quelli da due peli non arrivano così a nord), nel secondo i pinguini di Magellano (una pinguinera di piccole dimensioni, di circa 300 esemplari) e nel terzo gli elefanti marini. Sul lato orientale delle penisola si estende una lingua di sabbia che corre parallela alla costa lunga quasi quaranta chilometri. È nello stretto braccio di mare tra la penisola vera e propria e la lingua di sabbia che i pinguini hanno trovato il loro spazio ideale, probabilmente perché fin lì le orche non possono arrivare. I leoni e gli elefanti marini si trovano invece sulle spiagge che danno direttamente sul mare aperto e se ne stanno tranquilli a riposare sotto il sole, in apparenza indifferenti agli sguardi dei molti turisti affacciati sulle terrazze in legno create ad hoc sopra le spiagge.

Alla fine del giro giungiamo a Punta Piramides, dove è possibile, con un piccolo sovrapprezzo, uscire in mare con un catamarano per fare snorkelling nel Golfo Nuevo. Sono l’unico del gruppo a rimanere a terra (non amo molto nuotare). In alternativa mi godo la tranquilla atmosfera vacanziera del paesino seduto ad un tavolo di un bar proprio sopra la spiaggia.

Al rientro degli altri riprendiamo direttamente la via di casa e giungiamo a Puerto Madryn dopo circa dodici ore di tour infuocato: un bel po’ stancante, di sicuro troppo superficiale, ma comunque una bella esperienza.

Per cena ancora il tenedor libre, ma ci ripromettiamo che sarà l’ultima perché non siamo in grado di trattenerci e ne usciamo sempre distrutti. Per riprenderci dalla sensazione orribile di gonfiore che ci attanaglia, andiamo fino alla piazza principale del paese per fare due passi. Molti artisti di strada stanno intrattenendo un folto pubblico, soprattutto di bambini entusiasti (per molti di loro, questi spettacoli sono come la televisione per i nostri… non ho dubbi nel scegliere quale passatempo sia il migliore). Tra i vari artisti, una coppia mette in scena uno spettacolo talmente bello da incatenare noi ed altre trenta persone a guardarli per oltre un’ora.

Di ritorno all’ostello, troviamo Michael in compagnia di due ragazze di Buenos Aires. Paula e Andrea, una insegnate d’inglese, l’altra di ballo, sono qui in vacanza, un periodo di ferie purtroppo ormai agli sgoccioli. Entrambe molto simpatiche, troviamo subito il giusto feeling e tiriamo quasi fino all’alba a chiacchierarci. Bel modo di concludere la giornata.

Giovedì 03 febbraio – Riposo

Il cielo privo di nubi che ci attende al risveglio si sposa perfettamente con l’idea che entrambi abbiamo di passare la giornata: sole e mare, nient’altro. Ogni tanto un po’ di sano “non far niente” ci vuole, un modo per riposare il fisico e permettere alla mente di metabolizzare le mille esperienze appena vissute.

Alle undici siamo già distesi in riva all’oceano. Un venticello leggero ci rinfresca la pelle ed il vociare lontano di alcuni bambini è l’unico contatto con la realtà. Rimaniamo lì a rosolarci fino a quasi le tre, poi io non ne posso più e riesco a trascinare Giovanni in un cafè per assaggiare un’altra specialità argentina della cui esistenza eravamo venuti a conoscenza solo la sera prima parlando con Paula e Andrea: l’alfahores, due strati di biscotto con in mezza il dulce de leche (una crema simile al mou).

In serata, di ritorno all’ostello, incontriamo le due ragazze di Buenos Aires. Di nuovo insieme nella piccola sala comune antistante le camere, ci offrono il mate, il vero simbolo dell’Argentina. Il mate è l'infusione preparata con le foglie della Yerba Mate (un agrifoglio originario del Sud America). Tradizionalmente questa infusione viene collocato in un piccolo recipiente, denominato esso stesso mate, e si beve calda con una cannuccia di metallo (o, raramente, di canna) chiamata bombilla. In tutta l'Argentina bere il mate è un vero rito quotidiano, un po’ come bere il caffè da noi (gli effetti sono più o meno li stessi, visto che anche il mate è ricco di caffeina). Acquista anche una connotazione di complice amicizia quando si beve in gruppo: si beve da un solo mate che viene passato a turno ad ogni partecipante.

Siamo rimasti con loro a chiacchierare fino a che non è venuta l’ora di raccogliere i bagagli per l’imminente partenza verso le Ande. In partenza da Puerto Madryn ci siamo solo noi e per questo cominciamo a sentire la corriera come il nostro regno. Lo stewart si chiama Mario, un tipo cordiale e simpatico che si offre da subito per esaudire ogni nostro volere. Con una bibita in mano e dei biscotti nell’altra, ci posizioniamo nei posti davanti, da dove possiamo ammirare indisturbati un magnifico tramonto sulle aride steppe patagoniche. Che estrema sensazione di piacere.