Viaggio alla fine del mondo

Dal 13 gennaio al 14 febbraio 2005

di Carlo Camarotto

El cerro Yungay
Valparaiso
Un artista di strada
La lasagnata
Paula

Tappa numero 7, Dal 9 al 12 febbraio 2005

Ayekantun
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Mercoledì 09 febbraio – Ostello Ayekantun

La stazione delle corriere è proprio vicina all’ostello e c’è un comodo tunnel pedonale che ti permette di saltare la trafficata strada a più corsie e carreggiate che delimita il centro ad ovest.

Partiamo per il Cile verso le nove con la Turbus, una delle migliori compagnie cilene, ma per questo anche una delle più costose. La strada da percorrere è la stessa del giorno prima, la famosa Ruta 7: le spettacolari formazioni rocciose della Cordillera sono uno spettacolo che merita di essere rivisto, quindi mi incollo al finestrino praticamente fino al confine. Il nuovo tunnel che passa sotto le montagne più alte della cordillera real è lungo poco più di tre chilometri, un’opera di ingegneria che sbianca di fronte a cosa facciamo noi in Europa, ma che qui in Sud America assume un valore assai diverso.

Appena al di là del tunnel c’è la frontiera, un enorme edificio che ospita entrambe le dogane. Passando dall’Argentina al Cile (è vero anche il contrario, ma il controllo è meno pressante) bisogna subire il controllo minuzioso dei propri bagagli. In Cile non può entrare nessun tipo di alimento, se non quelli di origine industriale ancora confezionati.

Per arrivare al confine dalla parte cilena bisogna affrontare una ventina di tornanti che si inerpicano con fatica sulla montagna. Abbiamo visto dei cicloturisti arrivare fin lassù senza un apparente sforzo. Incredibile.

Il primo vero paese incontrato in Cile è Los Andes, un centro all'inizio delle prime valli che s'insinuano nelle Ande. Lo sfruttamento agricolo in aree premontane è maggiore in Cile che in Argentina e molti versanti presentano filari di vite o di alberi da frutto fino a pendenze proibitive. Tutta la zona è arida e l'uso dell'irrigazione è quindi massiccio. Al paese di La Calera, proprio in corrispondenza della Panamericana, la corriera si svuota. Siamo veramente in pochi a continuare dritti fino a Viña del Mar, uno dei luoghi più turistici della regione, la città delle vacanze dei ricchi santiaghini. Qui scendono tutti tranne noi.

Valparaiso sorge dall'altra parte della piccola baia. Valpo, così viene chiamata Valparaiso dai cileni, non ha niente a che vedere con Viña, o sarebbe più giusto dire il contrario. Valpo porta su di sé il peso della storia, quella personalità che respiri ad ogni boccata, che percepisci ad ogni movimento, che ti avvince ad ogni sguardo. È indubbiamente la città più bella del Cile e lo dimostra il fatto che da pochi anni è diventata un sito Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco, un po' come Venezia, Verona, Firenze e Roma in Italia. E il confronto non è pazzesco, perché delle città europee possiede il fascino, se non proprio la pura bellezza estetica. La sua atmosfera ha un po' di Genova, un po' di Venezia, un po' di Napoli ed un po' di Trieste, un miscuglio di città di mare con le case che odorano di salsedine, solo che qui sono perlopiù di legno colorato e con il tetto di lamiera. Le strade si inerpicano faticosamente su per i colli che si accrescono a poche decine di metri dal mare e le case nascono come funghi al loro lato, le une sopra le altre, in una composizione di forme e colori che rapisce lo sguardo. Ero già stato qui quattro anni fa, una giornata intera a passeggiare con Paula per le sue vie. Riammirarla soddisfa quell'estetico piacere che qualsiasi buon italiano presenta stampato nei geni.

Appena scesi dalla corriera, mentre carichiamo gli zaini sulle spalle, siamo avvicinati da una ragazza di nome Stephanie: ci chiede se siamo in cerca di un posto dove dormire. Quando arriva il momento di capire da dove proveniamo spara "Francia"... un errore imperdonabile. La ragazza è un po' sfortunata perché non ha mai avuto a che fare con un italiano in vita sua... è ora che la fortuna le restituisca il mal tolto scaricandole addosso in un solo colpo noi due.

Accettiamo l'offerta d'alloggio e la seguiamo senza indugio lungo le vie di Valpo al suono continuo della sua voce. Stephanie è un fiume di parole, un'interrotta scarica di suoni che escono dalla bocca senza una soluzione di continuità. Ci guida fino alla fermata delle corriere lungo una strada a due carreggiate densamente percorsa da macchine di tutti tipi. Siamo praticamente ai piedi del grosso edificio del parlamento cileno, un cubo con il buco in mezzo che richiama la "Defense" di Parigi (il parlamento cileno ha sede a Valparaiso, non a Santiago... un tentativo di decentralizzazione dei poteri).

Dobbiamo aspettare una decina di minuti prima di prendere il bus che ci porterà sul Cerro Yunghay, uno dei più belli di Valpo. Il B&B Ayekantun (significa sorriso in qualche lingua indigena) non è altro che la casa di un'amica di Stephanie; in gennaio e febbraio, ormai da tre anni, le tre stanze da letto del piano superiore vengono affittate al prezzo di 5000 pesos cileni per persona (all'incirca 7 euro). Il tutto è gestito da Violeta, l'amica di Stephanie e padrona di casa, e dalla stessa Stephanie che le dà una mano a pulire, preparare la colazione per gli ospiti e trovare in caso di necessità, come oggi, i clienti.

La casa è bella, con un piano tutto sala e cucina, un ampio spazio luminoso con belle vetrate che aprono la vista sulla baia, le sue acque, le sue navi, e la confusione di case intente ad ammirarla. C’è un bel divano, una comoda poltrona per rilassarsi, uno stereo per ascoltare musica, un computer con internet assolutamente gratuito, un'atmosfera di pace condita con una buona convivialità. Oltre a noi, come clienti, c’è una coppia di giovani tedeschi e una signora in pensione serba. I tedeschi sono lì da una quindicina di giorni ed è un mistero su come trascorrono le giornate; la signora serba è lì da solo una settimana, ma ha tutta l'intenzione di rimanerci fino a luglio per imparare lo spagnolo: parla in continuazione di tutto quello che le passa per la mente, entusiasta di tutto ciò che vede e fa... sprizza da tutti i pori una simpatica vitalità che coinvolge, basta saperla prendere a piccole dosi. Violeta è carina e ride sempre, forse da qui il nome scelto per il B&B.

Tra le chiacchiere continue di Stephanie e la signora serba e le risate di Violeta (che comunque alle volte nella sua ilarità emette dei suoni allarmanti ), ci troviamo talmente bene da decidere di passare l'intero pomeriggio in sala, godendoci appieno il clima di serenità del luogo. Comunque fuori il tempo brutto, con un folto strato di nuvole grigiastre che incombono sulla città e che non danno nessuna speranza alla nostra voglia di sole.

Chiacchierando della mia vecchia esperienza a Valpo, scopro che il ristorante dove avevo pranzato quattro anni prima si trova proprio ai piedi del Cerro Yunghay e si chiama "J Cruz". Mia ferma intenzione è quella di tornarci per riassaporare la chorillana, un piatto tipico del posto fatto con patate fritte, uova fritte, cipolla fritta e carne rossa, un vero pasto leggero leggero. Quando è ora di affrontare la cena, Stephanie si propone come accompagnatrice... accettiamo senza indugio.

Il ristorante è uguale a come lo ricordavo, un insieme pazzesco di ricordi da tutto il mondo. L'atmosfera è allegra ed io e Joe siamo in grande forma, perciò la cena scorre via divinamente. La chorillana è squisita e si sposa perfettamente con il vino suggerito da Stephanie, che non risparmia nemmeno un secondo per lodare le qualità del suo paese, produzione di vino compresa.

Alle prese con il piatto enorme che servono in mezzo al tavolo (la chorillana viene servita in un piatto unico a cui tutti attingono) ci giunge alle spalle un signore che cerca di vendere alcuni libri di sue poesie. Gli offriamo un bicchiere di vino a scambiamo con lui qualche chiacchiera più che piacevole.

Nel dopo cena Stephanie ha un appuntamento con un’amica e siamo noi a decidere di seguirla. È così che conosciamo Giselle, l'amica di Stephanie, Grisel e altri due ragazzi (uno fratello di Grisel). Le due nuove ragazze sono molto carine, soprattutto Grisel, e simpatiche, soprattutto Giselle, quindi la serata non ha bisogno di molto tempo per decollare.

Preso un bus ci dirigiamo verso Viña alla ricerca di un posto dove ballare: lo troviamo in un locale per solo studenti universitari. Con il passare delle ore la complicità con Stephanie va via via aumentando, esaltata da una serie di leit-motiv che prendono piede aiutati dal tanto alcol ingerito (uno di questi è quello di dire “cajate” a chiunque, senza un apparente motivo… vuol dire “stai zitto”, ma è un modo molto autoritario di dirlo).

Continuiamo a ballare fino ad oltre le cinque, ora alla quale ci cacciano letteralmente dal locale. Dobbiamo separarci: io, Joe e Stephanie torniamo verso Valpo, gli altri no. Avendo stretto un buon dialogo anche con Grisel e suo fratello, ci accordiamo di vederci l'indomani.

Di nuovo all'ostello ci godiamo un po' di pace e tranquillità sulla piccola terrazza sopra la casa, da cui si domina veramente una bella porzione di Valparaiso, un albero di Natale di luci tremolanti. Sono ormai passate le sei quando crolliamo a dormire.

Giovedì 10 febbraio – Grisel

La camera in cui dormiamo ha due letti matrimoniali, il mio particolarmente grande. È un vero piacere dormire fino a tardi bagnati dalla luce di Valpo che entra dalle due ampie finestre in direzione del porto. Mi alzo dal letto con una vitalità inaspettata ed ho tutto il tempo di farmi una bella doccia rigenerante prima che qualcun altro all'ostello dia segni di vita.

La grande poltrona in sala, posizionata proprio sotto le finestre che corrono per quasi tutte e due le pareti rivolte verso la baia, è il posto perfetto sul quale accomodarsi per scrivere dei giorni felici passati in Argentina e godere allo stesso momento della tranquillità della casa.

Violeta si sveglia quando sente i mie passi in sala; non riesco ad impedirle di fare un salto al mercato per comprare un po’ di frutta per la colazione. Al suo rientro si materializzano dall'alto della scala a chiocciola anche la signora serba ed il ragazzo tedesco, entrambi assonnati. Giovanni è l'ultimo a unirsi al gruppo.

Il tempo fuori è ancora brutto, ma non me ne accorgo finché non me lo fa notare con rammarico Giovanni. Lui è dispiaciuto di non poter andare alla spiaggia, a me sinceramente non importa quel granché: rimanere su quella poltrona a scrivere, danzando lievemente sulle note del tempo, un tempo che ha per noi rallentato il suo corso, è quanto di meglio possono richiedere da quella giornata.

Così il giorno si fa sera tra le mura della casa, in compagnia della signora serba, che tenta di imparare lo spagnolo ascoltando delle audio guide, e Violeta e Stephanie che si adoperano a sistemare le varie stanze. La nostra, purtroppo, è già prenotata per la notte: una signora cilena con i suoi due figli passerà di lì dopo cena. Il piano originario era che Violeta c'avrebbe aiutato a prenotare qualche posto nelle vicinanze, ma ormai abbiamo intrecciato un così buon rapporto con le due ragazze che ci hanno proposto di dormire in una tenda montata per l’occasione nel piccolo giardino, di fianco alla buca scavata il giorno prima per fare il compost. In quella casa ci stiamo proprio bene, quindi non abbiamo alcun dubbio nell’accettare.

Intorno alle sei giunge l’ora di farsi un giro per il paese, prima dell'appuntamento con Grisel e suo fratello. Dalla casa bisogna scendere in picchiata lungo il Cerro Yunghay fino ad arrivare in Plazeta Ecuador. Nelle vicinanze, andando verso la baia, si apre un’altra piazza dove si trova un piccolo mercato artigianale di bancarelle coperte da teloni azzurri. In realtà le cose interessanti non sono molte, qualche bella maschera in ceramica e qualche collana di legno, così arriviamo all'appuntamento con un po' di anticipo. In prossimità del luogo dell’incontro, un tipo alto quasi due metri, con tutta la faccia impiastricciata di bianco ed il naso rosso, sta dando spettacolo in mezzo alla strada. Giocando con i pedoni che devono attraversare o con le macchine ferme al rosso, il tipo fa sganasciare dalle risate il pubblico fermo ai bordi della strada, inventandosi gag sempre nuove, perlopiù esilaranti. La folla, sempre più grande (ci saranno state più di 200 persone nel momento di massima affluenza) lo applaude fragorosamente ad ogni performance e non si lesina a ripagarlo con moneta sonante.

Alle 7.40 i due cileni non sono ancora arrivati e il tipo decide di finire lo show. Dopo dieci minuti, quando ormai ce ne stiamo andando, Grisel arriva sorridente, ma tutta sola... il fratello ha tirato pacco.

Grisel è proprio una bella ragazza, con un sorriso contagioso ed uno sguardo vivo ed allegro. È la più “vecchia” delle ragazze della sera precedente, ventisette anni che possono essere traditi solo dalla presenza di qualche capello bianco tra la folta massa di capelli corvini. Anche se in ritardo non possiamo certo volerle male: basta guardare per un attimo i suoi profondi occhi scuri per perdonarla all'istante. Grisel è una ragazza particolare. Dopo il primo approccio la giudichi una bella ragazza che tende a stare sulle sue, ma quando cominci conoscerla ti accorgi che le “sue” sono in un mondo che non è il nostro, o forse ne è solo un’immagine irreale sospesa a qualche miglio dalla superficie terrestre. È un'autentica sognatrice, intesa come una persona che vive attraverso le sensazioni e non seguendo freddi calcoli mentali.

Proprio sopra la piazza dell’incontro, se ne sta arroccato sul ripido versante del colle una casa d'epoca colorata in giallo e blu. All'interno ospita un bar, il “Gato tuerto” (il gatto orbo), che si estende all'esterno su una bella terrazza da cui si può godere di un’invidiabile vista su Valparaiso. Una serie di scale s'inerpicano fin là sopra; murales dipinti da pittori famosi abbelliscono di quanto in quanto il cammino e costituiscono un bel museo all'aperto. Seduti sulla terrazza, io con davanti un buon bicchiere di pisco-sour, chiacchieriamo di noi ammirando la giornata spegnersi e la città illuminarsi di mille luci tremolanti.

Grisel ha vinto un concorso cileno e, grazie a una borsa di studio, andrà a studiare in Francia per circa sei mesi. I suoi studi attuali riguardano la cultura Mapuche. Ne parla con passione evidente, la stessa che probabilmente ha per tutte le cose che fa. Tiene sempre con sé un quaderno sul quale appuntare tutto quello che le passa per la mente, ma non è un semplice diario, è un compagno fedele della sua vita, sia quella emozionale sia quella lavorativa. Ci sono schizzi di disegni Maya, Aztechi e Incas, ci sono poesie, ci sono appunti appena mozzicati, ci sono oggetti raccolti a caso lungo il percorso della vita che l'hanno in qualche modo catturata, come una piuma di uccello raccolta poco prima sulle scale per raggiungere il gatto da un occhio solo. La sua scrittura è un enigma, più un tentativo di dipingere che di scrivere, la penna tenuta tra le dita come un pennello, nere tracce impazzite sulla carta.

Le ore intanto passano senza quasi accorgersene, se non per il buco allo stomaco che mi si apre quasi all'improvviso. Decidiamo così di andare a Viña, in modo da vedere anche dove lavora Grisel per mantenersi gli studi: il casinò di Viña, fa la croupier. Per arrivarci prendiamo il bus, come la sera prima, e scendiamo poco dopo l'ingresso nella città per goderci una camminata nel bel lungomare. Per le luci, i palazzi, la gente che cammina tranquilla e l'atmosfera vacanziera, mi pare di essere da qualche parte della costa romagnola. Per mangiare qualcosa puntiamo al Margherita, un locale tex-mex del centro. Anche davanti ad una picada continuiamo a parlare di tutto ciò che ci passa per la mente. Ci scopriamo davvero molto vicini. Ad un tratto guardo l'orologio per scoprire che è passata da poco l'una: è ora per noi di tornare all'ostello e per Grisel a casa. L'accompagniamo alla fermata del bus e la salutiamo con calore. Ci rivedremo comunque ancora l'indomani perché deve darmi un CD con le musiche che le piacciono maggiormente, un piccolo pensiero da portare in Italia.

Il ritorno a Valpo è rapido e la salita fino a casa ce la divoriamo a passi lesti. Violeta e Stephanie sono ancora sveglie. Sono le due e l'unica luce accesa in casa è la loro. Rimaniamo in compagnia a ridere ancora per un po' e poi ci buttiamo dentro la tenda montata alla bene e meglio nel piccolissimo giardinetto. C’hanno messo dentro due materassi e si sta proprio comodi: non mi ci vuole molto per iniziare il viaggio nel mondo dei sogni.

Venerdì 11 febbraio – Lasagnata

Sono nuovamente il primo ad alzarmi. Mi dirigo senza indugio alla comoda poltrona in pelle della sala e mi immergo nella scrittura. È un rituale che mi piace, che mi fa sentire in pace con il tempo che scorre: è come se la vita fosse un'enorme vasca idromassaggio e il tempo costituisse quelle milione di bollicine che ti massaggiano la pelle e ti rilassano.

La giornata prende piano piano la forma di quella precedente. Dopo un po' che sono sveglio appare Violeta che deve preparare la colazione; viene seguita a breve dalla signora serba che già di prima mattina blatera-blatera e sembra non finire mai di farlo; dopo poco torna la ragazza tedesca, annunciata dal suono del campanello; il suo ragazzo appare dopo poco in cima alle scale ancora assonnato; Giovanni si unisce al gruppo per ultimo. Finiamo di fare colazione che mezzogiorno è già passato da un po’.

Per la sera dobbiamo organizzare una cena a base di lasagne: la madre di Violeta, conosciuta il giorno prima, è stata in Italia e le ama, dobbiamo per forza accontentarla. In piena trance organizzativa stiliamo un menù per la serata: lasagne al pesto, bruschette e frico. Tra un invito è l'altro, saremo in più di dieci persone, quindi una bella sfida (considerando anche che non abbiamo mai fatto le lasagne in vita nostra).

Le ore all'ostello volano veloci nella pace della sala, e l'ora di vagabondare per il centro di Valparaiso arriva che neanche ce ne accorgiamo. La prima meta è il mercato dell'artigianato nelle vicinanze del porto. Per arrivarci camminiamo tranquilli tra le strade della piana assaporando il ritmo cadenzato della vita di Valpo.

Provò a chiamare Paula, la mia amica di Santiago. La sua voce gentile mi fa compiere un balzo a quattro anni prima. È un piacere sincero sentirla così vicina, è come se il tempo non fosse in realtà trascorso ed avesse permesso il congelamento del nostro rapporto d'amicizia. Quattro anni possono essere tanti, ma in certi casi sono solo un breve fruscio nel tempo. Nemmeno la sua gentilezza non è cambiata: ci ospiterà nell'appartamento dove vive da sola e, siccome è piccolo, lei andrà a dormire da sua madre.

Al mercatino dell'artigianato ritroviamo finalmente un po' di prodotti tipici degli altopiani andini (nelle zone dell’Argentina dove siamo stati si fa molta più fatica a trovarli). I prezzi sono parecchio più alti di quelli di Angelmò (Puerto Montt) e la varietà è assai minore, ma non possiamo lamentarci. Facciamo entrambi un po' di acquisti e portiamo praticamente a termine la nostra spesa di regali. La spesa per la cena risulta essere invece più impegnativa e nemmeno tre borse piene di roba sono sufficienti a portare tutto. L'unica cosa che non riusciamo a trovare sono i pinoli.

Di ritorno in ostello, Violeta ci invita sulla terrazza per una canna in compagnia. È così che un po' di tempo vola via ammirando l’incantevole Valparaiso. Ormai con il tempo agli sgoccioli, ci mettiamo seri ai fornelli. La preparazione è impegnativa e le nove giungono che siamo ancora in alto mare.

Faccio in tempo a cucinare le zucchine che devo scappare per raggiungere Grisel in centro. Sono in ritardo e perciò mi lancio giù in discesa correndo. Fatica sprecata perché Grisel non c'è ancora e ritarderà altri venti minuti prima di arrivare. Quando giunge all'angolo tra Plazeta Ecuador e la strada che porta alla costa (all’angolo c'è una farmacia) ha stampato sul viso quel sorriso di scusa che aveva il giorno prima. Porta con sé una grande cartella bianca ed aspetta di essersi seduta comodamente su una delle panchine della piazza prima di aprirla. Dentro c'è un pacco regalo blu, tenuto insieme da sottili fili rossi, all'interno una piccola serie di regali che portano con sé un po' di Grisel, del suo mondo e del suo pensiero: un CD di musiche che le piacciono particolarmente, due riviste d'arte che parlano di Valparaiso, una poesia (un aire, come lei l’ha definita) scritta di suo pugno. Mi prega di non aprire il pacco fino alla mia partenza e così farò.

L'incontro questa volta è breve, un rapido istante per salutarci con affetto con la certezza che rimarremo in contatto. L'accompagno alla corriera che la porterà al lavoro e la vedo andar via con un certo rammarico.

Ritornato di corsa a casa (una fatica correre su per ‘ste salite), ritrovo Joe più o meno allo stesso punto dove lo avevo lasciato. Oltre a noi dell’ostello, fanno parte della serata Carlos, un ragazzo dalla carnagione scura e la testa rasata e due suoi amici, entrambi di nome Felipe. C'è ovviamente anche la madre di Violeta, seduta a tavola con una fame atavica che le fa chiedere ogni cinque minuti se è pronta la cena. Per accontentarla mettiamo in tavola le bruschette ed inforniamo le lasagne. Il vino è presente in abbondanza e ci fa compagnia fino al momento di servire in tavola il piatto principale... sono già passate da un po' le undici.

Pur con i limiti imposti dalla qualità della pasta, le lasagne sono proprio buone. Il frico invece non è quel granché: il formaggio usato è quel che è, ma alla lontana può ancora rendere l'idea.

La cena corre via liscia ed allegra fino ad oltre le cinque, ora alla quale arriviamo solo noi italiani ed i giovani cileni. Sono parecchio ubriaco quando mi dirigo verso la tenda. Proprio una bella serata.

Sabato 12 febbraio – Paula, Marcela e Gustavo

Al momento del risveglio Joe è un'autonoma: ha una faccia tiratissima e sembra invecchiato di colpo di dieci anni. Mentre la sala si anima come di consueto con il passare delle ore, noi prepariamo gli zaini con il solito zelo, ma anche ormai con la tranquillità derivata da un mese di continui spostamenti. Ci accomiatiamo da Violeta e Stephanie con un caloroso abbraccio e ci incamminiamo su per il Cerro Yunghay per andare a prendere il bus. È la prima volta che ci incamminiamo verso l'alto, soli con i nostri zaini ed un piccolo nuovo peso da portarci appresso... Valparaiso, Violeta, Stepahnie e Grisel rappresentano da sole forse la parte più bella del nostro peregrinare e c'è un po' di triste rassegnazione nel doverle abbandonare. Ma per un'avventura che si conclude, ce n'è sicuramente una che inizia, e Paula ci sta aspettando a Santiago.

Arriviamo in stazione senza particolari problemi e non dobbiamo aspettare molto prima di partire verso l'interno. Giovanni crolla sul sedile che non abbiamo ancora fatto pochi chilometri e io lo seguo dopo poco. Mi risveglio alla periferia di Santiago e non mi pare nemmeno vero che il viaggio sia durato così poco. Il cielo è nuvoloso anche qui e comincio a pensare che qualcuno porti sfortuna. Scesi alla fermata finale ci ritroviamo catapultati nella solita stazione affollatissima. Ultimi accordi telefonici con Paula e poi dritti in metrò fino all'altro capo della metropoli, nelle Comunas di Las Condes e Providencia, dove risiede la medio alta borghesia di Santiago. La differenza tra questi comuni (non sono veri e propri quartieri, perché Santiago è costituita da una trentina di comuni differenti) e quelli posti a sud, come La Pintana o La Cisterna, è totale. Da una parte condomini, grattacieli e case in muratura, con aree verdi e viali alberati ben curati, dall'altra catapecchie di legno e compensato con tetti di lamiera e solo terra arsa e lurida di contorno. In solo due fotografie tutta l'America latina.

Arrivati alla fermata di Tobolaba incrociamo Paula sulle scale: quattro anni le hanno solo scurito un po' i capelli e l'hanno resa più donna... bella come la ricordavo. Ci abbracciamo come due vecchi amici usi a vedersi e poi la seguiamo a piedi verso casa. Da qualche mese vive da sola in un piccolo appartamento ben arredato al quinto piano di un palazzo immerso nel verde e nella visione di altri palazzi dalle svariate fogge. È una zona benestante, e si vede. L'appartamento è proprio carino, soprattutto perché arredato con gusto. È facile sentirsi a proprio agio. Con in mano un bicchiere di spremuta d'arancia, io e Paula dobbiamo chiudere con qualche chiacchiera l'immenso buco di quattro anni senza praticamente sentirci. Comodamente seduti sul divano, cerchiamo di riscoprirci, mentre Giovanni, ancora dilaniato dalla sera precedente, si esclude dalla conversazione per recuperare le forze. Siamo comunque entrambi provati, anche perché in un mese di viaggio le energie tendono a non essere più quelle dei primi giorni.

Un amico di Paula si è proposto di scorazzarci in giro per Santiago con la macchina e non possiamo che accettare. Sono circa le quattro quando Gustavo passa a prenderci. Di primo acchito non mi fa una grande impressione, anche perché mi dà l'idea che sia qui solo per farsi bello gli occhi di Paula: la tratta con servile devozione (qualcuno meno smaliziato di me potrebbe chiamarla cavalleria), a tratti quasi infastidente. In realtà, e di questo ce ne accorgeremo in serata, è il suo modo di comportarsi, nient'altro che una consuetudine comportamentale di quella ricca porzione di mondo santiaghino, forse una reazione al sistema maschilista imperante nella cultura sudamericana e così consolidato nella parte più povera del paese.

Sia lui che Paula si mettono a nostra completa disposizione per esaudire gli ultimi desideri del nostro viaggio. Joe vorrebbe comprare qualche oggetto d'artigianato e per questo veniamo portati in un centro artigianale dalle parti di Providencia. Si trova all'interno di un piccolo villaggio rurale con case in terra e paglia dipinte di bianco, ormai cinto d'assedio dall'avanzare della moderna Santiago. Al suo interno si respira comunque un'area di tranquillità sudamericana sconosciuta anche solo cento metri fuori delle bianche mura che delimitano il borgo. I negozietti dell'artigianato sono molti, ma i prezzi sono piuttosto alti, almeno secondo i nostri parametri. Giovanni trova comunque quello che fa per lui in un negozio che vende oggetti di terracotta.

Il pomeriggio intanto si va spegnendo ed il bisogno di riposare si fa impellente. Ci riportano così a casa con l'accordo di ripassare a prenderci verso le nove. Il programma prevede una cena a Recoleta, noi quattro più Marcella, una cara amica di Paula. Abbiamo così il tempo di farci una doccia e riposarci sul candido letto matrimoniale.

Marcella è proprio una bella ragazza, minuta come piace a Joe. Puntiamo a Recoleta, a quell'ora piena di vita notturna, e su consiglio di Paula decidiamo di mangiare in uno degli ultimi locali alla moda del posto, dove sono specializzati in cucina giapponese. Con un po' di fortuna riusciamo a sederci subito e tra le luci soffuse delle candele iniziamo a chiacchierare amabilmente di tutto ciò che ci passa per la mente. In confronto a Gustavo, io e Giovanni appariamo proprio due zoticoni: per lui ogni momento è buono per comportarsi da cavaliere, indifferentemente con Paula e Marcella, noi due abbiamo invece eliminato ormai da tempo qualsiasi gesto servizievole. In breve con Marcella intavolo una discussione sulle politiche europee, scoprendola attivamente impegnata, cosa che mi sorprende assai visto che la prima impressione è stata quella di una ragazza più impegnata a decidere come truccarsi o vestirsi che ad altro (la tipica fighetta del nord-est, figura caratteristica ed odiosa del padovano).

La cena è ottima, in un'atmosfera molto intima riscaldata dalla radiosa femminilità di Paula e Marcella. Esco dal locale felice e soddisfatto… che bello viaggiare.

Domenica 13 e Lunedì 14 febbraio – Ritorno a casa

Ultima notte in Cile, ancora ospite a casa di Paula. Il suo letto è comodo e la mattinata santiaghina ci ritrova ben riposati. Paula si ripresenta a casa poco prima delle nove per fare colazione con noi. La prendiamo con la giusta calma per goderci quegli ultimi istanti di pace. Poi un sentito abbraccio, gli zaini sulle spalle e via per tornare a casa.

La corriera diretta all'aeroporto, stracolma di persone, si ferma giusto a metà strada per un guasto al motore. Nessun problema, veniamo raccolti da una nuova corriera una decina di minuti più tardi; l’imprevisto è quasi piacevole perché movimenta i nostri ultimi passi in terra cilena.

Il viaggio aereo fino a Madrid è pietoso: la presa dell'auricolare è rotta, le finestre sono oscurate subito dopo la partenza e le luci per leggere si rompono poco dopo... nulla da fare per tredici ore, un delirio.

A Barcellona abbiamo un po' di tempo per fare un giro in centro. Guido Giovanni per un paio d’ora lungo la Rambla e nelle strette vie della città vecchia. Venezia ci attende poco dopo.