Viaggio alla fine del mondo

Dal 13 gennaio al 14 febbraio 2005

di Carlo Camarotto

La Moneda
Mercato di Angelmò
Un piatto di curanto
Puerto Montt
L'Osorno ed il Calbuco
Il vulcano Osorno

Tappa numero 1, Dal 13 al 16 gennaio 2005

Santiago e Puerto Montt

Giovedì 13 gennaio - La partenza

Si parte. A distanza di quattro anni ripeterò il lungo viaggio aereo verso Santiago. Stessi aerei, stessi orari, ma non più da solo. Con me c'è Seba, pronto alla sua prima avventura oltre oceano, e a Madrid poi troveremo Andrea (detto Lippifi), come sempre super informato su tutto e con la tendenza quasi nevrotica di aver tutto sotto controllo.

Questo viaggio parte con presupposti completamente nuovi rispetto agli ultimi fatti. Io e Joe eravamo una coppia collaudata ancor prima di partire per il Guatemala. Con Seba e Lippifi il futuro si mostra incerto e si svelerà solo strada facendo... propendo comunque per essere ottimista.

Il mio umore è invece ancora piatto e tardo a sentire quella frizzante vitalità che mi coglie in genere alla partenza. La mancanza di un catalizzatore di energie positive come Giovanni fa si che ci metta più tempo a scrollarmi di dosso le consuete nevrosi occidentali che si accumulano durante il resto dell'anno. A Madrid potrebbe esserci la svolta.

Ritroviamo Lippifi al Gate A13. È in perfetta forma, cioè una sfera. Siamo a dire il vero tutti e tre un po' sovrappeso: questo viaggio dovrà servire anche a rimetterci in una condizione accettabile.

Venerdì 14 gennaio - Santiago

Ci apprestiamo al viaggio più lungo che si possa intraprendere dall'Europa. Tredici ore di volo sopra l'Atlantico, il Brasile e l'Argentina. L'aereo è della Lan Chile, di gran lunga più confortevole del corrispondente dell'Iberia. Il volo è notturno, con partenza da Madrid all'incirca a mezzanotte ed arrivo a Santiago alle nove di mattina. C'è tutto il tempo per farselo passare dormendo. Al risveglio ci saranno le Ande ad aspettarci.

Lippifi non è seduto vicino a noi, ma qualche posto più avanti. Stiamo un po' insieme solo per una decina di minuti nel retro dell'aereo, dove le hostess ci omaggiano di snacks e bibite. Lì con lui, quando tutto l'aereo è silenzioso e buio, sento finalmente di essere in viaggio: una pace che mi sorge da dentro e che mi rende l'animo leggero.

Uscito dall'aeroporto trovo tutto come quattro anni prima: stesse piante stentate avvolte nella stessa terra arida, stessi tassisti pronti a sommergerti con le loro offerte, stessa gentilezza dell'assistente della corriera nel voler sobbarcarsi il peso dello zaino.

L'aria è calda e la giornata splende di un sole che non fatico a riconoscere tra i più temibili che abbia mai incontrato.

Lungo la strada per il centro però qualcosa è cambiato. Ci sono molti più quartieri residenziali con le case tutte uguali e molti più cantieri sull'asfalto bollente. Perfino sull'Alameda i lavori sono febbrili: una carreggiata è chiusa al traffico e l'altra è un ingorgo di autobus gialli.

In qualche modo desidero far rivivere ai miei due compagni quello che ho vissuto quattro anni prima ed è per questo che li porto a dormire nello stesso luogo che mi ospitò. Il Residencial Alemano non è cambiato, se non per il bagno che è stato rifatto a nuovo (9.000 pesos, circa 13 euro per una stanza tripla con bagno in comune).

La Moneda è la nostra prima tappa, Plaza de Armas, con le sue tranquille panchine, la seconda. Da lì, spostarci al Mercado Central è quasi una conseguenza logica. Incontro nuovamente Luis, il cileno che parla perfettamente italiano conosciuto insieme a Paula. Accettiamo il suo invito e ci sediamo da Donde Augusto per ristorarci con una buona birra.

Il mio sguardo è di nuovo vivo e curioso, ormai svestito di quella patina di indifferenza che mi accompagna sempre quando sono in Italia. Amo osservare le persone che camminano tra i ristoranti e le bancarelle del Mercado, soffermandomi sui piccoli particolari del loro incedere o sulla manifestazione fisica dei loro pensieri. Quando viaggio è l'universo che mi circonda ad attrarre tutta la mia attenzione, non sono più distratto dai pensieri torbidi che spesso inquinano il mio modo di vivere. Lasciarsi condurre dai sensi è ciò che più mi piace al mondo.

Salutato Luis, si è fatta l'ora di prenotare il viaggio per Puerto Montt. A lato della stazione dei treni si è accresciuta una zona commerciale ricca di negozi e di gente. Noto che i prezzi di qualsiasi cosa sono piuttosto bassi, una riduzione rispetto ai nostri standard superiore a quella che avevo riscontrato quattro anni prima. L'euro ha fatto il suo effetto. Oltre questa area si trova una delle tante stazioni dei bus (Terminal San Borja). Qui la folla è davvero tanta e bisogna destreggiarsi abilmente tra le persone per cercare di raggiungere le oficinas delle corriere che partono per il sud. Tra le poche proposte (al Terminal San Borja si trovano più facilmente corriere che partono verso nord; per il sud è più fornito il Terminal de Buses Santiago) scegliamo la Pullman Bus (18.000 pesos, circa 26 euro, compresa la cena e la colazione; il viaggio durerà più di 12 ore).

Preso il biglietto cominciamo tutti e tre a sentire le fatiche arretrate. Lippifi e Seba hanno mal di testa ed io sento le gambe stanche. Il letto è quasi una scelta obbligata. L'idea è quella di riposarsi solo un po', ma la stanchezza è talmente tanta che ci addormentiamo tutti e tre come sassi per quasi tre ore. Al risveglio è giunta già la notte: usciamo per cena che sono le undici.

Mentre ci troviamo indecisi tra due ristoranti nel Barrio Brasil, un gruppo di dieci ragazze, coperte con delle mantelle nere e con la chitarra in mano, ci accerchiano ed iniziano a cantarci una bella canzone d'amore, un'autentica serenata. Tra di loro ce ne sono di veramente carine. Prima di abbandonarci alla stessa velocità con cui sono giunte, ci baciano affettuose (noi italiani per salutare usiamo dare due baci partendo da sinistra, loro solo uno partendo da destra: non potevano non nascere delle simpatiche incomprensioni). La loro sola presenza, in un paese dalla cultura fortemente maschilista come il Cile, è un chiaro segnale di come le cose stiano cambiando. La cosa non può che farmi un grande piacere.

Per cena ci lanciamo su una parillada di carne, una sorta di grigliata cucinata dentro un pentolone di ghisa in cui, unite alle classiche ali di pollo e braciole di maiale, si trovano anche varie interiora (salsicce di fegato ed intestino). Paghiamo la cena 12.000 pesos (15 euro) compreso la mancia: si, il Cile è sicuramente meno caro di quattro anni fa.

Sabato 15 gennaio - Los dos cerros

Mi sveglio con un vigore che non sentivo da molto tempo. È un vero piacere salutare il nuovo giorno con uno spirito così vigoroso.

Il centro questa volta lo raggiungiamo in metrò, che qui a Santiago è pulita ed efficiente. La prima tappa ci porta direttamente sotto il Cerro Santa Lucia, la piccola collina dove si insediarono i primi spagnoli che giunsero in queste terre. Poco prima di entrare nel parco che occupa il cerro, veniamo fermati da un gruppo di studenti che chiedono un aiuto per poter pagarsi l'Università. Sono amichevoli e ci riempiono di consigli su cosa visitare in città ed in giro per il Cile.

Il Cerro Santa Lucia è come lo ricordavo, un bel luogo dove rilassarsi e dove estraniarsi dal traffico caotico della metropoli. Poco sotto la cima c'è un terrazzo con un piccolo bar, qualche fontana ed una buona serie di panchine. È qui che ci sediamo per goderci il sole. Il ricordo del freddo europeo è ancora troppo vivido per non provare piacere nel solo stare lì al caldo. Anche Lippifi e Seba hanno un diario di viaggio e sono intenzionati a scrivere quanto o forse più di me. I momenti di scrittura sono spesso comuni e sembriamo tre scribi al lavoro.

Lasciato il cerro ci incamminiamo verso nord per raggiungere Recoleta, un quartiere di case basse vivacemente colorate. Lippifi si dimostra sorpreso nel notare l'universo caotico che i fili della luce disegnano nelcielo.

Per pranzo solo un paio di empanadas, una sorta di panzerotto tipico cileno (e argentino), seduti sulle sedie di plastica di una empanaderia d'asporto. La tranquillità quasi soporifera di Recoleta durante la calda giornata ci fa compagnia mentre mangiamo.

Poi ci aspetta il Cerro San Cristobal, la grande collina che si erge per oltre quattrocento metri a nord del centro di Santiago. Per arrivare in cima c'è una funicolare (costruita nel 1925) che ti porta fin lassù in pochissimo tempo. La visione di Santiago ripaga ampiamente il costo del biglietto: la città è immensa; le case si spingono fino a perdita d'occhio in tutte le direzioni, fino a scomparire nell'eterea foschia di quel giorno assolato.

Tornati di sotto, vaghiamo un po' a casaccio per il Parque Forestal, una striscia verde addossata al Rio Mapocho, ed assistiamo ad un bello spettacolo di pupazzi che aveva attirato a sé un folto sciame di bambini. Purtroppo il tempo è un po' tiranno e dobbiamo, pur mantenendo un passo tranquillo, dirigerci verso il residence per raccogliere gli zaini: il viaggio verso Puerto Montt ci aspetta.

La corriera è comoda, ma dietro di noi sale una madre con tre piccoli pargoli, di cui il più piccolo particolarmente turbolento. Lasciamo perdere la cena servita a bordo... no comment.

Domenica 16 gennaio - Puerto Montt

Nel cuore della notte i continui schiamazzi alle spalle sono solo un accompagnamento lontano al mio sonno profondo. Una parte di me li percepisce, ma sono solo flebili echi lontani. Ad essere tangibile e vicina è invece la bestemmia di Seba che, seduto in parte a me, non riesce a chiudere occhio. Appena tornato alla realtà, le grida dei bambini appaiono anche a me insopportabili e ne deve passare di tempo prima di riuscire a riaddormentarmi.

Albeggia quando mi sveglio nuovamente e siamo dalle parti di Osorno. La colazione è povera: una tazza di the, un pacchetto di biscotti ed un succo d'ananas, tutto striminzito.

A Puerto Montt le nuvole sono ancora ben ancorate al terreno. Ci ritroviamo dentro una pioggerellina finissima che bagna qualsiasi cosa, ma in realtà sfugge alla definizione vera e propria di pioggia: è più dell'acqua sospesa a mezz'aria. Mentre aspettiamo che ci consegnino gli zaini, veniamo avvicinati da Veronica, una cilena di origine italiana che è caccia di turisti da far dormire nel suo hospedaje. Il prezzo di 6.000 pesos (9 euro) e la simpatica parlata della tipa ci convincono in breve a seguirla. In realtà l'hospedaje (House Rocco, in onore del nonno italiano) è più un B&B all'inglese, ma la costruzione di legno colorato pronto a marcire è tipica della regione. Ad aiutare Veronica nella gestione dell'alloggio c'è Anna Maria, una ragazzona dai lunghi capelli corvini e la pelle ambrata: è addetta ai lavaggi e alla preparazione delle colazioni.

Veronica, persona energica e piena di entusiasmo, vuole che proviamo subito il suo mitico caffé, "l'unico real coffee di Puerto Montt" (con tanto di scritta celebrativa sul termos). In realtà è solo un po' più buono dello standard cileno, vale a dire un gradino sopra la definizione di acqua sporca.

Siamo nelle vicinanze del molo da dove partirà la Navimag, quindi dalla parte di Angelmò, il pittoresco porto della città. Ad Angelmò si può trovare uno dei più bei mercati d'artigianato di tutto il Cile, ricco di prodotti tessili e lignei, ed anche uno dei meno cari. Più avanti c'è il caotico mercato del pesce dove le bancarelle e i comedores (posti dove si può mangiare, qui chiamati anche cocinerias) convivono a stretto contatto.

Lippifi odia il pesce, il suo odore, il suo sapore, la stessa idea della sua esistenza... per pranzo gli risparmiamo la sofferenza di addentrarsi in questo mondo per lui nauseabondo. Scegliamo una delle tante cocinerias che si trovano nella palafitta rossa che gli nasce a fianco. Io e Seba optiamo per il curanto, il tipico piatto della zona: un ricco stufato di frutti di mare, pollo, maiale, manzo e patate; si mangia insieme al chapalele, un tipo di pane fatto con le patate. Il piatto è spaventosamente abbondante ed i mariscos (frutti di mare) si sciolgono in bocca, deliziosi. Seba è impressionato: ricorda la mia reazione di quattro anni fa.

Intanto la giornata, come aveva predetto Veronica, si volge al bello. Riprese un po' le forze dopo il lauto pasto, verso le sei ci lasciamo trasportare lungo la Costanera, la via pedonale che corre lungo il mare. Il vulcano Calbuco si staglia nitido sopra la città, con la vetta dilaniata dalla sua stessa attività. La perfetta cima del vulcano Osorno è invece nascosta dalle colline che cingono la città da nord. La voglia di vederla ci spinge a passeggiare il più possibile nella sua direzione (alla storia come "la Missione Osorno"). Arriviamo fino ad un belvedere sulle prime rampe delle colline: da lì non riusciamo a vedere l'Osorno, ma in compenso lo sguardo verso la città che sorge ai nostri piedi, illuminata dai raggi del sole morente, è molto bello.

Tra le cose tipiche da far assaggiare ai miei due compagni manca il pisco-sour, un aperitivo piuttosto alcolico fatto con pisco (brandy di vino), succo di limone e zucchero a velo (io ne vado pazzo; l'aroma del pisco per me è il profumo del Cile). Torniamo in centro per portare a compimento la "Missione pisco-sour" ma non troviamo un gran assortimento di locali adatti allo scopo. Alla fine veniamo attirati dalle torte (la decima regione è famosa per le sue torte, di chiara ispirazione tedesca) messe in mostra dallo Sherlock, un localaccio per turisti. Paghiamo per tre torte e tre pisco-sour la stessa cifra spesa il giorno prima per la grigliata a Santiago.

Torniamo all'hospedaje quasi a mezzanotte e siamo ripresi da Veronica perché facciamo troppa confusione: il pisco non è affatto leggero.